Lupi se ne va. Un sacrificio necessario

ROMA – Maurizio Lupi se n’è andato via per sempre dal ministero che ha presieduto. Lo ha fatto dopo un lungo discorso che ben pochi hanno ascoltato, visto il numero risicato di parlamentari presenti in Aula questa mattina.

L’ormai ex ministro delle Infrastrutture ha tentato di salvare la faccia prima di congedarsi. Lo ha fatto per tutelare la sua famiglia dalla bolla mediatica che lo ha travolto e soprattutto per la sua sua carriera, o meglio per salvaguardare il suo operato politico espresso finora. Eppure il suo lungo discorso da vittima non ha impressionato, specie considerando il ruolo che ha ricoperto. Lupi ha elogiato il suo lavoro di ministro. Ha parlato  

del suo impegno profuso attraverso la legge obiettivo, dallo sblocco delle grandi opere all’alta velocità con la quale dice di aver addirittura cambiato il modo di viaggiare degli italiani. Ma non solo. Ha persino detto che era sua intenzione riformare il codice degli appalti. 

Lupi ha ribadito che non è indagato e difatti è vero, nessuno  lo accusa esplicitamente e se ciò fosse esiste fino all’ultimo grado di giudizio la presunzione di innocenza. Ma è pur vero che le relazioni – come testimoniano le intercettazioni –  con persone che ora si trovano in carcere gettano ombre inquietanti sulla gestione della cosa pubblica e su quel sistema Italia che non è affatto finito assieme alla prima repubblica, ma continua a insinuarsi nelle istituzioni per trarre i profitti che andranno ai soliti noti.

Matteo Renzi dovrebbe saperlo bene. Invece, da Bruxelles dove si trova, parla delle dimissioni come un gesto di grande dignità e sensibilità ed è sicuro che questo episodio non avrà nessuna conseguenza sul governo.

Insomma, come spesso succede in politica l’agnello sacrificale ha fatto la sua parte per salvare capre e cavoli, e ora il governo crede di uscirne più forte di prima, come qualcuno ha tenuto bene a precisare.

Invece, il problema rimane. Eccome. Il governo continua infatti ad ignorare alcuni passaggi importanti dei quali qualcuno dovrà pure rispondere. Non solo, infatti, l’arrestato Ercole Incalza  era stato già allontanato nel lontano 2006 da Antonio Di Pietro che aveva odorato puzza di bruciato, ma sono state eluse anche le recenti e continue segnalazioni dei parlamentari del Movimento 5 Stelle che per mesi hanno chiesto invano di rimuovere definitivamente Incalza.

Ma, si sa, è già difficile in Italia scoperchiare le scottanti relazioni nelle alte sfere pubbliche, figuriamoci scardinare definitivamente un sistema ben collaudato delle trame e delle convenienze politiche. Sistema che continua a morire e a resuscitare nel tessuto sociale di un’Italia smemorata e un po’ menfreghista. Neppure Tangentopoli è riuscita a debellare quello ‘status quo’ che fece all’epoca così tanto scalpore, ma non per questo arrivò a giustiziare tutti i responsabili. Oggi resta l’indignazione rabbiosa degli italiani, i quali non sembrano mai toccare il fondo, perchè se così fosse arriverebbe la necessità di risalire dal baratro in cui si è precipitati.

Insomma se questo governo non è stato in grado di controllare certi fatti per prevenirli diventa automaticamente corresponsabile e complice. Forse c’è bisogno di una grande riflessione degli italiani. Sul Paese in cui vivono e soprattutto sulle persone che a parole dicono di volere un cambiamento radicale. C’è ancora chi parla di rottamazione, ma finora gli unici ad esserlo sono i cittadini.

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