Messi, l’eroe rimasto bambino

ROMA – Nei giorni in cui piangiamo per la scomparsa di David Bowie, la quinta vittoria del Pallone d’oro da parte di Lionel Messi ci induce ad asserire che è vero che gli uomini, volendo e impegnandosi, possono essere eroi.

È il caso, per l’appunto, della “Pulce” del Barcellona: un inno al calcio e alla bellezza, un poeta dello sport, un sognatore diventato grande in tutti i sensi ma rimasto bambino nell’anima, un amante della vita e della sua magia, capace di scrivere ogni giorno la sua favola di innamorato di quel misterioso oggetto rotondo chiamato pallone che accarezza come un figlio, che porta sempre con sé, che quando incontra i suoi piedi fa scoccare una scintilla molto simile a un rapporto d’amore, come se avessimo a che fare con due fidanzati che si prendono per mano e corrono insieme verso il futuro, verso l’orizzonte, verso nuovi traguardi che nessuno ha mai raggiunto prima.
Meraviglia, stupore, incredulità: questi sono i sentimenti che ci vengono in mente ogni volta che assistiamo alle prodezze di questo genio contemporaneo, di questo giocoliere che danza sui campi di calcio di tutto il mondo e ovunque regala gioia, speranza, attimi di autentica estasi sportiva, di festa comune, di passione intensa e collettiva.
L’aspetto incredibile, tuttavia, è che sono gli stessi sentimenti che si possono scorgere nei suoi occhi, sul suo volto, che si riflettono nella naturalezza con cui gioca pensando unicamente a divertirsi e a far divertire il prossimo, cosciente dell’immensa fortuna che ha avuto nell’incontrare le persone giuste al momento giusto e di essere oggettivamente un privilegiato.
Per questo, a nostro giudizio, Messi non è solo il più grande ma è unico nel suo genere: in un’epoca segnata dall’affarismo, dalla spasmodica attenzione alla fama e alla ricchezza, dall’assenza di valori, di ideali e di incanto, siamo infatti al cospetto di un fuoriclasse che quando indossa la maglia del Barcellona si ricorda sempre di essere stato un bambino gracile cui solo questo club grandissimo decise di pagare le cure per consentirgli di crescere regolarmente, compiendo un investimento rischioso e a lungo termine che si sta rivelando, probabilmente, il migliore della sua lunga storia.
Quando scende in campo, dunque, non assistiamo alla danza stucchevole di un campione super-pagato ma all’armonia festosa e colma di ingenuo candore di quel bambino che inseguiva un pallone per le vie di Rosario o giocava nel cortile della scuola con qualunque cosa potesse essere presa a calci, di quell’adolescente che arrivò in Spagna a tredici anni, firmò il suo primo contratto su un tovagliolo, passò notti a piangere perché sentiva la nostalgia della sua terra, di sua madre e della sua famiglia e che infine ha iniziato a volare e non si è più fermato. E non si fermerà, non si fermerà mai perché il battito del suo cuore è sintonizzato con quello di chi lo guarda, in ogni angolo del mondo, dai suoi amici di sempre a chi non lo conosce ma lo sente vicino, dagli avversari costretti ad inchinarsi di fronte alla sua bravura ai suoi compagni di squadra che lo abbracciano e lo portano in trionfo. Non si fermerà perché, oltre ad essere un mito, è anche un uomo semplice e perbene che conosce l’importanza della gratitudine. Non si fermerà perché non smetterà mai di vivere il calcio come un gioco. Non si fermerà perché si legge nel suo sguardo la stessa emozione della prima volta che mise piede al Campo Nou, della prima volta che esultò per un gol, della prima volta che è stato acclamato dagli spettatori, della prima volta che si e sentito davvero felice perché ha capito che gli immensi sacrifici della sua famiglia erano stati ripagati, della prima volta che è stato considerato un leader dal resto della squadra, essendolo naturalmente.
Ogni tanto leggiamo articoli e analisi nei quali autorevoli opinionisti si interrogano su quanto potrebbe costare un eventuale trasferimento di Messi: risparmiatevi la fatica perché Leo non ha prezzo, in quanto ogni volta che indossa la maglia del Barcellona indossa la sua stessa vita, una delle sue principali ragioni di esistere e quell’insieme di magia, arte e sentimento non potrebbe aver luogo da nessun’altra parte.
Cinque palloni d’oro e non è finita qui. Cinque palloni d’oro e la certezza che presto festeggeremo il sesto. Cinque palloni d’oro, un oceano di classe, una montagna di leggerezza e di follia, un concentrato di disarmante normalità e la splendida sensazione di essere di fronte a un evento forse irripetibile nella storia dello sport, a un campione destinato a segnare quest’epoca e molte altre.
Se dovessimo scegliere un paragone poetico, ci verrebbe in mente Nâzim Hikmet perché Leo è l’icona vivente dei versi che recitano: “I più belli dei nostri giorni / non li abbiamo ancora vissuti”.
Un giorno smetterà e quel giorno ogni vero sportivo avrà gli occhi umidi, in attesa che un altro bambino, per dirla con Borges, “prenda a calci qualcosa per la strada”, che ricominci la storia del calcio e che non si renda mai conto, proprio come Leo, di essere diventato un fenomeno perché questa è la vera differenza fra i miti dello sport e i personaggi grazie ai quali anche chi non ama il calcio si ferma davanti al televisore e rimane a bocca aperta.

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