Razzismo e politiche abitative

ROMA – Quanto accaduto ieri al Trullo, e in precedenza a San Basilio è preoccupante, il razzismo si mescola con il diritto alla casa, entra nelle viscere dei cittadini romani, ma su questo terreno non serve parlare o relegare il tutto a indignati post o commenti sui fascisti e sul razzismo.

Questo lascia il tempo che trova. La realtà è che le graduatorie per le case popolari sono fasciste e razziste, il facilitare lo scontro tra diritto ed etnia è fascista e razzista. Ma questo non avviene per caso e non è frutto del fato o del destino avverso. 

Anche nell’epoca del pentastellismo segnaliamo quello che vediamo in tutte le città e le regioni italiane. 

A Roma oltre 10.000 famiglie in graduatoria ( ma sono le domande presentate al 31 dicembre 2013) , 8000 sentenze di sfratto emesse ogni anno. A Roma da quando è Sindaca la Raggi non c’è un assessore alla casa, peggio leggendo le sue linee programmatiche presentate in Campidoglio le politiche abitative non esistono, si parla di legalità nelle case popolari, si parla di sgomberi di occupanti abusivi nelle case popolari. Nulla nulla nulla di come si affronta la precarietà abitativa, dicono stanno studiiando, intanto migliaia di famiglie devono sbranarsi per spiccioli di case.

Si c’è razzismo e ci sono i fascisti che strumentalizzano, ma è un razzismo e una strumentalizzazione figlia del deserto di proposte, figlia di una impertubabilità sociale da parte degli amministratori comunali attuali e precedenti senza distinzione.

A Roma quando parliamo di politiche abittive complessive e strutturali ci guardano come si guardassero marziani che parlano italiano. 

A Roma quando parliamo della necessità di un piano strutturale e programmatico che punti alla realizzazione di almeno 10.000 alloggi a canone sociale nei cinque anni, strabuzzano gli occhi, ci dicono: ” vedremo” , “faremo”, “studieremo” ma nessun fatto, nessun atto neanche quello semplice di assegnare la delega alla casa. 

Alla fine ci si trova a politiche abitative che si basano sullo sgomberare una famiglia per mettercene un’altra. A Roma si parla di casa solo quando sui giornali escono casi singoli e all’improvviso c’è una mobilitazione generale: municipi, assessori, consiglio comunale, insomma quello che succede in un paesino di 5000 abitanti, dove i casi davvero sono unici.

Il razzismo e le strumentalizzazioni fasciste hanno un nome e un cognome: incapacità ed è ubicata in Campidoglio, dove non si parla di prospettiva, dove non si risponde ai bisogni essenziale come la casa, al più si dice : arrangiatevi. 

Intanto ogni giorno si eseguono con la forza pubblica 20 sfratti, le risposte servono per tutte e tutti, oggi, non si va avanti con i “vedremo”. Perchè quello che resta da vedere è lo scadimento sociale, l’abbruttimento dei diritti, la lotta a chi arriva prima. 

Certo esiste anche una Roma solidale ma che ha il fiato corto se da parte dell’Amministrazione viene meno l’elemento essenziale: il governo della città e delle sue contraddizioni, che fornisca un orizzonte, una traccia, insomma il diritto alla vita.

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