Mafia nel Veneto. Dalla mala del Brenta ai boss di Cosa Nostra

ROMA – Sono finiti i tempi in cui la mala del Brenta terrorizzava il Veneto. Tuttavia la sua  nascita si può considerare come una sorta di apripista per altre organizzazioni di stampo mafioso  che si sono insinuate in questo territorio grazie ad un fitto rapporto collaborativo tra diverse realtà del crimine.

Dopo la cattura definitiva di Felice Maniero, avvenuta a Torino nel novembre del 1994, c’è stata una sorta di frammentazione criminale, durante la quale le cosche hanno avuto la possibilità di radicare maggiormente la loro presenza sul territorio, agendo senza dover più rendere conto ai propri affiliati veneti, ormai finiti tutti in manette, molti dei quali successivamente diventarono  -come lo stesso Maniero – collaboratori di giustizia.
Insomma si può parlare di un cambio di consegne, in cui le cosche, questa volta provenienti dal sud prendono il sopravvento, si sostituiscono lentamente a quella rete  che Maniero e il suo clan avevano creato in vent’anni di attività criminale, ma che non sono mai riusciti a controllare in assoluta autonomia.

D’altra parte alla banda di “Felicetto” come lo chiamavano gli amici, era già stato riconosciuto lo status di associazione mafiosa, nonostante i suoi componenti fossero tutti veneti e non delle regioni del sud, come un luogo comune vorrebbe far credere.

Fu proprio la Corte d’Assise di Venezia a stabilirlo, tanto che la definì “un complesso  di affari tra persone legate tra di loro da un vincolo associativo di carattere mafioso.”  Regole ferree, ordine gerarchico stabilito, compiti differenziati, insomma Maniero tra omicidi, rapine, e il redditizio traffico di droga aveva creato una vera e propria holding del crimine con divisione dei ruoli e ripartizione di aree d’influenza fra i consociati, almeno così la definisce uno studio del Consiglio Superiore della Magistratura. Ma tutto questo non sarebbe avvenuto se Maniero per allargare i suoi confini illeciti non fosse sceso a patti, siglando alleanze con altre cosche mafiose.
Infatti, i primi approcci tra la banda del Brenta e i boss di cosa nostra risalgono ai primi anni  ’80 quando Totuccio Contorno e Gaetano Fidanzati,  si trovavano nel Veneto in soggiorno obbligato.

La Questura di Venezia, nella sua relazione del 2003 scrive che “Il vero e proprio salto di qualità della mala del Brenta avvenne in seguito agli incontri con esponenti di primo piano della mafia siciliana”. Incontri che plasmarono la struttura della banda del Brenta, tanto da fargli acquisire tutte le caratteristiche tipiche delle attività mafiose, in primis il traffico delle sostanze stupefacenti.  Tuttavia, nonostante la grande mole di atti giudiziari prodotti in quegli anni restano meno noti i percorsi del denaro illegale proveniente dalle attività mafiose. Transazioni nebulose, investimenti sull’immobiliare e sulle attività economiche sono da sempre l’obiettivo delle organizzazioni, che con questa strategia non solo riescono a ripulire i capitali sporchi, ma riescono ad inserirsi nel tessuto economico del territorio, spesso con appoggi politici e prestanomi scelti ad hoc per non destare sospetti.

D’altra parte il Veneto, specie dopo il periodo del cosiddetto “boom del nord est”, è diventata una ricca piazza che fa gola alla criminalità organizzata. Sempre nel rapporto della Dia del 2008 si parla di un “indissolubile legame tra criminalità organizzata e tessuto economico”. La stessa Prefettura di Venezia fece notare che “il contesto economico regionale appare permeabile alla penetrazione di capitali provenienti da attività illecite per il loro riciclaggio e reimpiego in attività legali.”
Un particolare che viene accompagnato da strane anomalie sul territorio veneto, tra il proliferare di nuove imprese che aumentano in maniera spropositata il loro volume d’affari, – spesso gestiti da imprenditori che nonostante siano apparentemente  sprovvisti di un’adeguata esperienza imprenditoriale dispongono di finanziamenti quasi illimitati.

All’inizio degli anni 2000 appaiono alcune cosche criminali, questa volta legata ai clan camorristici campani, che tentano d’investire in attività legate al commercio del pellame specialmente nelle cittadine balneari di Caorle e Bibione e altre tentano  di estorcere denaro agli imprenditori del turismo a Cavallino Treporti, dove fu coinvolto anche un consigliere comunale di maggioranza.

Poi ci sono le minacce nel sandonatese fatte pervenire al professor Gianni Corradini, il commercialista che nel 1998 fu chiamato dal sindaco di Venezia Massimo Cacciari per rimettere in sesto i conti del Casinò. Intimidazioni che secondo la prefettura lagunare erano indirizzate dalle cosche mafiose della Sicilia per prendere il controllo della succursale del Casinò a Malta e di conseguenza permettere il riciclaggio del denaro sporco. Tant’è che nel 2002 venne a galla il tentativo da parte di una cosca del ragusano di produrre un danno economico al casinò di Cà Vendramin, tale da indurre l’amministrazione a vendere la sede maltese.

Ad avvalorare l’ipotesi dell’infiltrazione mafiosa nel Veneto esiste anche un copioso rapporto stilato nel 2003 dalla Guardia di Finanza, inviata successivamente alla Commissione Antimafia, nel quale s’intravede il pericolo delle organizzazioni criminali attraverso gli investimenti immobiliari, specie nelle zone turistiche come Cortina D’Ampezzo. Le Fiamme Gialle, infatti, scoprirono che ad opera di soggetti riconducibili alla sacra corona unita le imprese edili nel bellunese e gli stessi operai erano costretti a versare il pizzo sotto la minaccia di eventuali ripercussioni  sui familiari. L’operazione della GdF denominata “Doppio passo” riuscì a sgominare questa organizzazione portando in carcere 14 persone, tra le quali  anche tre albergatori della provincia montana. Ed è proprio nel settore turistico che la mafia punta gli occhi, dove c’è più movimento di denaro e dove gli investimenti sono più cospicui, sempre ammesso e concesso che il territorio in questione possa garantirgli coperture e l’adeguato sostegno politico, perchè le mafie spesso riescono abilmente ad adattarsi al territorio e al contesto sociale.

A Vicenza, Treviso e Padova fu scoperta una truffa a livello internazionale nel settore produttivo dell’argento pari a 28 milioni di euro. 142 persone sono state rinviate a giudizio con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al contrabbando, bancarotta fraudolenta, truffa ai danni dello Stato e frode fiscale. La base operativa – secondo gli investigatori – era un’azienda svizzera di Lugano gestita direttamente da Vito Roberto Palazzolo, ritenuto il cassiere del clan siciliano di Corleone e inserito nell’elenco dei 30 latitanti più pericolosi al mondo.

Insomma nemmeno il Veneto è indenne all’infiltrazione delle attività criminali. D’altra parte – come fa notare la Guardia di Finanza – è noto che fin dai tempi della mafia del Brenta ingenti quantità di denaro sporco furono convogliate nel Veneto. Anche il Consiglio Superiore della Magistratura ha rivelato  la permeabilità nel territorio veneto. In pratica sussistono varie ipotesi che fanno pensare a  innumerevoli possibilità di infiltrazioni criminali, sempre tramite prestanomi e in determinati settori economici. D’altronde è risaputo che il Veneto è una delle regioni più ricche d’Italia per quanto concerne la circolazione di liquidità e quindi si presta perfettamente agli scopi illeciti del riciclaggio.

Ci sono state indagini su vari investimenti di persone collegate al clan siciliano dei Madonia. In un’indagine denominata Las vegas, fu aperta un’inchiesta sul fallimento del tour operator Clipper, nel quale affiorarono legami tra gli indagati. Molti erano noti bancarottieri, altri esponenti della ‘ndrangheta.

Nel Veneto nel rapporto stilato dall’agenzia del Demanio  sono state 72 le aziende confiscate nel Veneto al 31 marzo del 2010, mentre circa 8milioni di euro in beni confiscati all’attività criminale.

Recentemente dall’incontro sulle infiltrazioni nel Veneto tenutosi nel veronese è emerso che questa regione non è affatto esente dal fenomeno della criminalità organizzata. Si è parlato di Verona epicentro del traffico di sostanze stupefacenti, di operazioni finanziarie sospette, delle mille transazioni che numericamente fanno schizzare questa regione al quarto posto della classifica nazionale. Come ha detto il Procuratore capo di Torino, Gian Carlo Caselli: “I mafiosi non sono quelli di una volta con coppola e lupara. Oggi  le mafie comprano i migliori cervelli su piazza per architettare strutture societarie occulte dietro imprese legali di copertura. In questo modo l’impresa criminale diventa impresa economica”.

Aveva ragione un noto magistrato che per stanare i clan consigliava una semplice strategia: “Seguite i soldi…”. Si chiamava Giovanni Falcone.

Condividi sui social

Articoli correlati