Inchiesta. Costa D’Avorio. La politica del dominio

ABIJIAN – Capire l’evolversi della situazione in Costa d’Avorio significa comprendere come la storia dell’Africa dall’indipendenza ad oggi sia stata originata dalle logiche coloniali di dominio economico e di divisione territoriale secondo dimensioni tribali, religiose ed etniche. Ma significa anche capire cosa implica la logica identitaria in un contesto socio-economico fragile.

La costa d’Avorio nacque nel 1960 grazie all’azione politica di Felix Houphouët-Boigny, d’etnia Akan-Baoulé, medico e proprietario terriero,  che aveva fondato nel 1944 un movimento interetnico politico-sindacale degli agricoltori tale da raggruppare più del 70% della popolazione attiva.

Infatti la Costa d’Avorio era ed è  tuttora una potenza agricola essendo il primo produttore mondiale di cacao, il 7° di olio di palma e l’11° di caffè. Inoltre esporta caucciù (3° produttore africano), legname e petrolio. La volontà d’unire le diverse anime del paese fu fatta su due presupposti: essere l’uomo di Parigi in Africa per cui garantire una sostanziale continuità tra il modello di sviluppo coloniale e quello post-indipendenza costruire un partito-stato  PDCI (Parti Démocratique de Côte d’Ivoire) sul modello dei partiti bolscevici ma all’interno di un economia sostanzialmente liberista.  Un esperimento, chiamato Houphouetismo, tale da far diventare la Costa d’Avorio un modello virtuoso dell’Africa e sopratutto un attrattore di forza lavoro regionale,la cui maggior parte di religione islamica: maliani, burkinabé, senegalesi, mauritani,guineiani, beninesi e togolesi. Questo flusso migratorio fu uno dei fattori di forza regionale nell’Africa dell’Ovest per Houphouët-Boigny che non disdegnava una etichetta di leader panafricanista proprio per la visione di frontiere aperte alla manodopera africana dell’Ovest.  Sostanzialmente nel 1988 un lavoratore su cinque era straniero.

Ma la prosperità del paese era assolutamente drogata da una corruzione (facilità dal costante e d ingente flusso di capitali stranieri)  e un nepotismo endemico e capillare grazie ad una politica di parastato che ha favorito la crescita di una classe media. Il principio enunciato da Houphouët-Boigny  era di non guardare troppo da vicino la bocca al “tostatore di arachidi”, ossia di accettare positivamente la formazione di una classe sociale basata sullo sfruttamento intensivo della clientela e del nepotismo, perché questa garantiva una sostanziale capacità di gestione dei capitali stranieri all’interno del paese. La sovrapposizione tra partito stato e clientelismo ha determinato che gli appartenenti al partito unico divenissero una classe patrimoniale privata cresciuta all’ombra dello stato. Per cui quando si verificò la caduta dei prezzi mondiali di caffè e cacao alla fine degli anni 70, s’inizio a prosciugare le risorse dello stato pur di mantenere lo status di vita raggiunto.

In questo contesto di progressiva pauperizzazione della popolazione non organica al partito e alla classe media riemerse il contesto etnico come chiavistello per modificare lo status quo.
La Costa d’Avorio è in infatti il crogiulo di una sessantina di diverse etnie raggruppate in 4 grandi gruppi linguistici: i Mandés (Malinké, Dan, Kwéni); i Gur d’origine burkinabé (Senoufos, Koulango, Lobi);i Krous (Wê, Bété, Dida Bakwé, Néyo); i Kwas or Akan (Agni,Baoulé, Abron, Alladian, Avikam e i gruppi etnici Lagoon).

Houphouët-Boigny inventò una storia precoloniale per cui il suo gruppo etnico fosse quello storicamente proiettato a costruire una unità nazionale e meno propenso alla conflittualità interetnica. La storia mitica diventò una antropologia di stato che poneva il gruppo di potere intorno al presidente dittatore al di sopra per ragioni psico-socio-antropologiche destinando all’isolamento gli altri gruppi ed in particolare Manké e i Gur stanziati nel nord del paese. Questa operazione, capillare nella diffusione (dalla musica ai concorsi pubblici) grazie alla sua semplicità (superiorità tout-court di un gruppo sugli altri), inevitabilmente usò anche la religione come fattore d’identità, contrapponendo la tolleranza religiosa degli Akan (politeisti-animisti in origine) messa in opposizione alla volontà di conversione dei popoli del Nord all’Islam.
Dentro a questa ideologia, la repressione dell’opposizione interna, effettuata anche con veri “inside job” (falsi golpe), fece emergere, come il suo più agguerrito avversario, uno dei due protagonisti delle ultime elezioni del 28 novembre, Laurent Gbagbo. Egli, professore di storia filo marxista, fondò il partito FPI (Front populaire ivoirien) vicino al PS francese, , imprigionato dal 1970 al 1973, sfidò Houphouët-Boigny nelle uniche vere elezioni presidenziali nel 1990 perdendole.

Negli anni 80 fino alla morte di Houphouët-Boigny il “miracolo” ivoriano lentamente si trasformò nel paradigma della decolonizzazione tradita: un simbolo quasi grottesco è stato il più dispendioso progetto del presidente-dittatore la Basilica di Nostro Signore della Pace, che ancora oggi è la più grande chiesa del mondo in un paese i cristiani sono circa il 34%. Costata 200 milioni di dollari fu donata a papa Wojtila nel 1990, soprannominata polemicamente la “basilica della savana” per aver prosciugato le casse statuali.

Nel dicembre 1993 Houphouët-Boigny morì per cancro alla prostata con un patrimonio di circa 11 miliardi di dollari (per aver un termine di comparazione si pensi che il budget statale della Mauritania il prossimo anno sarà di 1,78 miliardi di dollari). Egli era riuscito nel 1990 a nominare primo ministro Alassane Ouattara, un musulmano d’origine burkinabe economista del FMI, l’altro protagonista delle contestate elezioni presidenziali, una nomina finalizzata a soddisfare le sempre più pressanti richieste di una svolta tecnocratica, di trasparenza ed efficienza della macchina statuale da parte della comunità internazionale.
La morte del padre padrone della Costa d’Avorio scatenò la lotta per la successione. Gbagbo e Ouattara si confrontarono con Henri Konan Bédié, presidente dell’Assemblea Nazionale indicato da Houphouët-Boigny come successore in luogo di Ouattara, considerato l’ideale dagli USA e Francia. Bedié riuscí a prevalere anche grazie alla istituzionalizzazione dell’ivorità, come rottura con l’ideologia etnica di Houphouët-Boigny, un operazione sponsorizzata da Gbagbo, perché eliminava proceduralmente Ouattara dalla corsa presidenziale date le sue origini straniere. E’ importante osservare che la regione d’origine di Ouattara fino al 1947 era considerato parte integrante del territorio coloniale della Costa d’avorio francese.

La questione dell’ivorità si è rivelato una soluzione per ridistribuire le risorse disponibili senza operare alcuna riforma economica. Infatti la distinzione tra veri ivoriani, intermittenti e per convenienza permette di giustificare sia la discriminazione salariale, sia l’espropriazione di beni, sia l’esclusione politica, ma nello stesso minaccia il sistema economico ivoriano alla sua fonte: l’impiego di forza lavoro straniera.
Bedié e Gbagbo ruppero il sistema “antropologico” di preminenza sociopolitica di un gruppo etnico sugli altri all’interno di una identità nazionale escludendo una discriminazione economica. Durante Houphouët-Boigny la pauperizzazione di un gruppo etnico rispetto ad un altro era legata alla costruzione sociale e non ad una misura (discutibile) di presenza di sangue ivoriano, con Bedié la xenofobia divenne la migliore arma contro il declino economico e la corruzione dilagante. Infatti nel 1995 vinse le elezioni presidenziali senza avversari veri (quasi il 95% dei voti), boicottate da Gbagbo e con Outtara in esilio al FMI.

Ma il dominio di Bedié fu rovesciato dal generale Robert Guéí, fedele all’houphouetismo, che inizialmente sembrò voler abbandonare la strada xenofoba. Tuttavia la minaccia di vedere prevalere all’elezioni Ouattara, che poteva contare sulla maggioranza islamica del paese (42%) non più boicottata dalla questione dell’ivorità,indusse Guéí a riprendere le tesi dell’ivorità formulate nel manifesto intitolato ‘Ivoirité’ dal think thank CURDIPHE’ di Bedié, che costruirono un identikit socio-storico, geografico e linguista del perfetto ivoriano. Per la seconda Ouattara si ritrovò escluso dalle elezioni del 2000 mediante una modificazione costituzionale che richiedeva per candidarsi alle elezioni i genitori ivoriani.
Ma l’operazione per Robert Guéí non riusci perché Gbagbo vinse le elezioni. Da questo momento si puó considerare l’inizio della guerra civile; infatti i supporters di Ouattara videro in Gbagbo il vero regista dell’operazione dell’ivorità e nell’ottobre 2000 scoppiarono i primi moti insurrezionali dei musulamni del nord del paese che attaccarono i supporters cristiani di Gbagbo. Nel marzo 2001 anche per la pressione internazionale ci fu il primo incontro tra i due sfidanti, con l’impegno comune alla riconciliazione. Il partito di Ouattara vinse elezioni amministrative ed nell’agosto 2002 entrarono nel governo 4 ministri fedeli a Ouattara, rientrato a novembre 2001 dopo 4 anni di esilio.

Ma oramai la voglia di secessione del nord era non più controllabile anche a causa della prosecuzione di fatto del fenomeno di autoistituzionalizzazione della ivorità a livello d’intera classe politica. Il 19 settembre 2002 un ammutinamento di soldati ad Abidjan sancisce di fatto l’inizio della secessione del nord dal sud. L’ivorità risultava utile ad entrambi i contendenti: Gbagbo poteva contare sulla forza del nazionalismo per andare oltre il suo naturale bacino di consensi, mentre Ouattara indossava gli abiti del perseguito politico e rafforzava intorno a sé l’identità religiosa, mettendo in secondo piano il suo essere a tutti gli effetti l’uomo delle cancellerie internazionali per la “normalizzazione” economico-sociale del paese.

Fino al 4 marzo 2007 con gli accordi di pace di Ouagadougou ( Burkina Faso) voluti dal presidente burkinabé Blaise Compaoré, una guerra guerreggiata si alterna in diverse fasi (con  tali coinvolgere anche direttamente il contingente francese (13 morti) tuttora presente sul territorio e i caschi blu dell’Onu (missione UNOCI 1 morto), in combattimenti che, fortunatamente, non hanno mai causato stragi nella popolazione civile. Tuttavia hanno stravolto il profilo socio-economico del paese, facendolo sprofondare in una profonda crisi economica, che per la sua importanza a livello regionale ha indirettamente influenzato anche i paesi limitrofi.
Gli accordi del 2007 sono quelli che hanno portato alle elezioni presidenziali del 2010 in un paese gestito dal Gbagbo presidente, Guillaume Soro leader dei ribelli del nord primo ministro, una corte costituzionale vicina a Gbagbo e una commissione elettorale indipendente voluta dai grandi elettori di Ouattara.

Il risultato era scontato. Al primo turno prevalse Gbagbo con il 38% contro il 32% di Ouattara e il 25% di Bedié. Ma l’isolamento politico di Gbagbo, che durante questi dieci anni ha agito quasi esclusivamente al fine di conservare il potere tentando di comprare il consenso in vista delle elezioni trasformandolo in un presidente-dittatore di fatto, gli ha impedito ogni apparentamento al secondo turno decretando l’inevitabile sconfitta. La commissione elettorale indipendente ha quindi proclamato il 2 dicembre la vittoria di Ouattara per 54,1% con 45,9%. Subito l’ONU e tutte le cancellerie occidentali si affrettano a riconoscere Ouattara nuovo presidente della Costa d’Avorio.

Ma la costituzione ivoriana prevede che sia la corte costituzionale a legittimare il risultato elettorale presidenziale e quindi domenica 5 i risultati sono annullati per i rapporti presentati dai supporters di Gbagbo (e non negati dagli osservatori internazionali) brogli e violenze nel nord del paese. La corte costituzionale ha annullato circa 600.000 voti ed è proclamato presidente Laurent Gbagbo con il 51,45% contro il 48,55% di Alassane Ouattara. Il giorno dopo Gbabgo giura davanti alla corte costituzionale ed alla maggioranza dei politici e maggiorenti locali, mentre Ouattara fa giungere via posta il proprio giuramento. L’ultimo atto della grottesca situazione è la nomina dei rispettivi primi ministri: Gilbert Marie N’gbo Aké il presidente dell’università di Abidjian per Gbagbo, Guillaume Soro per Ouattara. L’Unione Africana invia il 6 l’ex presidente sudafricano Thabo Mbeki a fare da mediatore, ruolo già ricoperto nel 2005 con critiche velate da parte di Ouattara di non essere imparziale, mentre la Francia, gli USA e l’Onu chiedono a Gbagbo di farsi da parte. Nel frattempo il comandante delle forze armate si dichiara fedele a Gbagbo e riapre le frontiere allo scopo di dimostrare la compattezza dei militari. Il rischio di una guerra civile totale è concreto e la UE minaccia le sanzioni.

La vicenda ivoriana dimostra per l’ennesima volta che l’UE nella sua politica africana non è molto diversa dagli Usa di Bush nei risultati. Le elezioni più costose della storia africana circa 40 miliardi di FCFA (61 milioni di euro forniti dal consesso internazionale) sono state un vero fallimento, perché qualsiasi sia l’esito si è sostanzialmente certificata la divisione del paese che aveva portato alla guerra civile. Viene il dubbio di essere davanti ad un caso d’imbecillità politica, poiché aver permesso ai due antagonisti politici degli ultimi 17 anni di partecipare a queste elezioni in un ruolo così sproporzionato a favore del candidato meno desiderato (Gbagbo) è qualcosa che ha del patologico nell’autolesionismo. D’altro canto negli ultimi tre anni il governo di Soro aveva perseguito alla lettera la politica richiesta dagli organismi internazionali senza che Gbagbo ne intralciasse l’opera. Quindi non si comprende bene la ragione di operare un cambio di presidenza senza avere la garanzia di poterlo effettivamente realizzare, avendo la certezza di compromettere l’unità del paese. Ma si sa che il buon senso sembra una assoluta rarità nelle stanze della diplomazia e politica di tutto il mondo.

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