Gli anziani al centro delle scelte per il futuro di Roma

ROMA – Quello che si sta verificando a Roma sotto il governo di Alemanno,  primo rappresentante di una cultura politica di destra succube degli interessi della rendita immobiliare,  è una situazione paradossale.

L’ONU e l’OMS, affermano che l’allungamento della vita è la testimonianza del successo dello sviluppo umano durante il secolo passato, in larga misura avvenuto grazie alla affermazione della cultura urbana che ha consentito progressi determinanti negli standards della vita a partire dall’igiene, la sanità, l’alimentazione, l’assistenza.
Roma, a pieno titolo, può rivendicare di aver avuto un ruolo di primo piano in questo progresso. La capitale nel volgere di appena un secolo e mezzo da circa 210 mila abitanti nel 1871, ad una una popolazione di  2.882.250 a fine 2010 (secondo i dati del Piano regolatore sociale di Roma 2011 – 2015), di cui 612.397 (21,21%) di età superiore ai 65 anni (309.192 con meno di 75 anni e 303.205 con più di 75 anni) e per circa il 25% che vivono soli (15% uomini e 35% donne).
Tutte percentuali destinate a ulteriori, importanti incrementi secondo  le previsioni del Centro di Ricerca su Roma, che valuta come gli ultraottantenni nel periodo 2005-20 aumenteranno più del 50% e si concentreranno in particolare nelle zone periferica della capitale.
Dati questi che trovano conferma dallo studio dell’Istat sulle previsioni demografiche nazionali 2007- 2051. Da queste emerge un  netto e inarrestabile  incremento della popolazione anziana (65 anni e oltre), tanto in termini assoluti che relativi. I numeri assoluti dicono che, rispetto agli 11,8 milioni del 2007, gli anziani ammonteranno entro il 2051 a 20,3 milioni nello scenario medio.  Gli ultra 64enni, oggi pari al 19,9% del totale (1 anziano ogni 5 residenti), perverranno al 33% nel 2051 (1 anziano ogni tre residenti) di cui circa il 57,3% donne.
Nelle previsioni ISTAT cresce, inoltre, in modo soverchiante il numero delle persone molto anziane. I cosiddetti “grandi vecchi” (85 anni e oltre) passeranno nello scenario medio da 1,3 milioni nel 2007 a 4,8 milioni nel 2051 in valori assoluti e dal 2,3% al 7,8% in termini percentuali. L’indice di dipendenza degli anziani ci dice inoltre che se al 2007 risultavano 30,2 persone di 65 anni e più ogni 100 persone di 15-64 anni. Nello stesso scenario medio si prevede che l’indice raggiungerà i 44,9 entro il 2031, e i 60,9 entro il 2051.
    Dati veramente impressionanti che dovrebbero indurre i decisori pubblici a porre i bisogni delle persone anziane al centro dell’attenzione pubblica e non ricordarsi di loro solo quando c’è da recuperare risorse, così come è stato fatto con le misure  contro la crisi.
Ma a Roma si va ben oltre. Nella capitale, come conseguenza delle scelte dell’amministrazione capitolina, l’attenzione verso la popolazione anziana oscilla da un atteggiamento di carattere caritatevole alla strumentalizzazione elettoralistica. In questo è come se la città ripudiasse la sua missione storica dal momento che rifiuta di farsi pienamente carico di uno dei più importanti cambiamenti sociali dell’ultimo secolo, che essa stessa ha grandemente contribuito a determinare.  E’ come se rifiutasse di misurarsi con  una delle sfide primarie di  questo secolo. La residualità nell’agenda della amministrazione capitolina dei bisogni delle persone anziane, l’uso dispersivo e caritatevole delle risorse, l’assenza di interventi strutturali, è un errore gravissimo, contrastato dal Sindacato, che non può essere giustificato con le difficoltà derivanti dalla crisi economica e finanziaria e le ristrettezze di bilancio.  
    Che quasi un quarto della popolazione romana sia oggi di età superiore ai 65 anni, pensionata e mediamente in buona salute e che nel prossimo futuro possa arrivare ad un terzo  è una realtà che non può essere rimossa, che pone problemi inediti, una vera sfida alla qualità della vita urbana, una opportunità per uno sviluppo di diversa qualità solo che si sappia valorizzare questa enorme riserva di energie, esperienze, valori.

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