Comunali: un confronto a tre, appassionante e tutto da vivere

ROMA – Si fa un gran parlare, in queste ore, della battuta d’arresto del PD renziano e dell’avanzata del M5S, ricordando che solo due anni fa lo si dava per morto e lo si considerava ormai spacciato mentre oggi sembra più vivo e in forma che mai, capace di perseguire in solitario quella vocazione maggioritaria a lungo auspicata da Veltroni e dagli attuali vertici dem. 

Cosa c’è, dunque, dietro le scelte, consapevoli o meno, più o meno informate e ragionate, degli elettori? Quali molle li hanno spinti a votare in un modo o nell’altro nelle varie città? E cosa potrebbe accadere fra una decina di giorni ai ballottaggi? 

Esaminiamo con scrupolo le varie tipologie di voto e le conseguenze che potrebbero comportare.

Voto di curiosità

È il voto di chi è sospeso tra il non più e il non ancora, in particolare a sinistra. Elettori delusi dal PD che ormai non si riconoscono più nelle proposte di una compagine che si è spostata al centro, per non dire proprio a destra, ma non hanno ancora abbracciato la visione del mondo del M5S, diffidando dell’indole protestataria che ancora caratterizza soprattutto i vertici di quella compagine. Tuttavia, specie a Roma e a Torino, nella capitale a causa dei disastri causati tanto dalla destra quanto dalla falsa sinistra, nel capoluogo piemontese per via di un blocco di potere statico e ormai abbastanza stantio, in questi contesti moltissimi elettori hanno deciso di affidarsi a due candidate, la Raggi e la Appendino, che incarnano un M5S diverso da come lo abbiamo conosciuto alle origini e nei primi anni della sua esistenza. La Raggi è un’ortodossa, vicina a Di Battista e ben vista dal Direttorio, dallo staff e dai vertici; detto questo, trasmette comunque un’idea di serenità, di moderazione e di garbo istituzionale che non spaventa e anzi invita ampie parti di elettorato indeciso fra il non voto e il voto inedito a propendere per quest’ultimo. Non ha un programma chiaro, alcune delle sue proposte sono bislacche, altre ancora paiono uscite da “Satira preventiva” di Michele Serra ma una certezza riesce comunque a infonderla: se dovesse vincere, governerà in maniera onesta e questo, comprensibilmente, a Roma è destinato a fare la differenza. 

Chiara Appendino, invece, è una grillina completamente atipica: moderata e radicale al tempo stesso, capace di incuriosire e di rassicurare al tempo stesso, di appassionare e di trasmettere una sensazione di cambiamento e di freschezza: non è detto che ce la faccia, ma di sicuro è una figura destinata a restare nel panorama politico italiano, forse anche più della collega romana. 
Il discorso si rafforza se analizziamo le realtà in cui, al contrario, il M5S indossa i suoi classici panni di movimento di rottura e di protesta, non effettuando alcun cambio di passo e non scaldando i cuori di quanti chiedono innanzitutto una prospettiva di governo: a Milano, per via del buon lascito di Pisapia; a Napoli, per la presenza di un grillino senza 5 Stelle come De Magistris; a Bologna, in quanto il prode Bugani ha deluso e infastidito una cospicua parte degli stessi elettori e militanti grillini, figuriamoci gli altri; a Cagliari, poiché una sinistra che svolge il suo mestiere e si rivela attenta alle esigenze degli ultimi e dei ceti sociali più deboli lascia chiaramente meno spazio a una forza politica che attecchisce meglio là dove è più forte il disagio e il malessere sociale.

Voto di sconforto e di protesta

Riguarda soprattutto la Raggi a Roma e, in questo caso specifico, fa da contraltare alla curiosità di chi la vota per metterla alla prova. È il voto, cospicuo e non certo solo romano, di quanti si sono recati alle urne con rabbia, con sofferenza, in preda al disincanto e allo sconforto e hanno, dunque, voluto esprimere un voto punitivo, volto a colpire chi ha governato finora, ha avuto mille opportunità per fare bene e invece ha fallito, tradito, rubato, umiliato interi quartieri o, peggio ancora, intere città o regioni, dunque merita, agli occhi di questo tipo di elettori, di andare a casa e di restarci, senza alcuna pietà.

È un voto figlio di un sentimento diffuso che avvantaggia senz’altro il M5S ma non solo, in quanto ne ha beneficiato certamente anche la leghista Borgonzoni a Bologna, capace di costringere il democratico e onesto Merola al ballottaggio, per giunta partendo da una percentuale inferiore al 40 per cento, oggettivamente molto deludente, specie se si considera che fino a non molto tempo fa, da quelle parti, per il centrosinistra era considerato un risultato negativo il fatto di essere arrivati sotto il 60 per cento.

Voto di convinzione

È un voto raro, direi quasi rarissimo, di questi tempi; tuttavia, fortunatamente, esiste anch’esso e riguarda, ad esempio, le conferme di Zedda a Cagliari e De Magistris a Napoli, pressoché certo vincitore del ballottaggio contro Gianni Lettieri, già ampiamente sconfitto cinque anni fa. È un voto fiducioso ma, soprattutto, di premio, del quale possono beneficiare unicamente quei sindaci che o non sono uomini di partito, come De Magistris, o lo sono, come Zedda, ma si rivelano comunque in grado di ascoltare e far proprie alcune giuste istanze movimentiste, riducendo le distanze tra il palazzo e la piazza, tra le istituzioni e il popolo e, nel caso di De Magistris, ingaggiando una lotta senza quartiere contro un governo centrale considerato distante, per non dire proprio ostile.
È il voto di cui avrebbe beneficiato anche Pisapia se avesse scelto di ricandidarsi, avendo lasciato un’eredità della quale, incredibilmente, ha tratto vantaggio persino il grigio Beppe Sala, costretto a far finta di essere di sinistra per raccogliere il lascito della Coalizione arancione e riuscito talmente male nel suo intento da finire praticamente appaiato all’avversario di centrodestra, tale solo per convenzione giornalistica e per convenienza elettorale, essendo in realtà assai più a sinistra del suo avversario e condizionato negativamente, agli occhi dell’elettorato progressista, solo dal fatto di essere sostenuto da soggetti come la Lega di Salvini. Nelle ultime ore, avendo capito l’antifona, il buon Sala si è spinto leggermente a sinistra, disconoscendo di fatto Renzi e la sua strategia suicida, ma non è detto che gli basti, essendo con ogni evidenza un attore fuori ruolo.

Voto di fedeltà e voto in eredità

Diciamo che Sala, al pari di Merola e Fassino, potrebbero rientrare in entrambe le categorie: Sala in quanto erede del buon lavoro svolto dalla giunta Pisapia e Merola in quanto erede di se stesso e di un lavoro non certo esaltante ma comunque dignitoso.

Entrambi, poi, potrebbero farcela, al pari di Fassino, grazie al voto di fedeltà di quegli elettori, presenti soprattutto nella fascia d’età che va dai 65 anni in su, i quali si recano alle urne sulla scia di una suggestione, di una passione giovanile, di un sogno infranto ma impossibile da dimenticare.
È un voto che riguarda soprattutto il PD e, in particolare, quegli elettori che lo sosterrebbero anche nel caso in cui dovesse divenirne segretario Verdini in persona, a prescindere, al netto di programmi, alleanze, proposte, prospettive, al di là di tutto, in nome di un passato che non esiste più ma che nella loro mente, nel loro cuore, nelle loro speranze e nei loro sentimenti non svanirà mai.
Un voto in calo, sempre più marginale e confinato alle generazioni più avanti con gli anni ma comunque di tutto rispetto e, probabilmente, destinato a rivelarsi decisivo ancora per qualche tempo.

Voto di costruzione e voto realista

È il più raro in assoluto, riguarda soprattutto un’élite culturale e non sposta granché in termini percentuali; tuttavia, si tratta della scelta di chi ha una visione ampia e globale dei fenomeni, di chi è in grado di compiere una comparazione tra il caso italiano e quanto sta avvenendo nel resto d’Europa e negli Stati Uniti, poche decine di migliaia ai di persone ma comunque degne di nota, anche perché in molti casi si tratta della classe dirigente di questo Paese.

Un voto di questa natura può essere espresso, ad esempio, da chi ha sostenuto Martelloni al primo turno ma non vuole lasciare Bologna nelle mani della Lega, dunque voterà Merola al ballottaggio pur non essendone entusiasta.

Un voto di questa natura può essere quello di chi ha sostenuto Zedda a Cagliari per ricostruire, almeno a livello locale, l’esperienza del centrosinistra, magari affidandone il timone alla sinistra. Senz’altro è così per chi ha sostenuto e sosterrà De Magistris nella speranza di farne un leader nazionale e, magari, il candidato premier di una sorta di Podemos all’italiana. Senz’altro è così per chi ha votato e rivoterà Chiara Appendino nella speranza di democratizzare i 5 Stelle, innestando un po’ di pizzarottismo nel Piemonte ligio alla dottrina casaleggiana. Senz’altro è così, infine, per chi si affida a Parisi non solo per avversione nei confronti di quel che resta del centrosinistra ma con l’obiettivo di trasformare Milano nel laboratorio nazionale di un nuovo centrodestra unito, federato magari proprio dal candidato civico meneghino di estrazione socialista.

Voti di alto livello ma non per questo da scartare o da irridere. A seconda delle categorie che prevarranno il prossimo 19 giugno, avremo i vincitori dei cinque ballottaggi principali. Sarà un confronto a tre: appassionante e tutto da vivere.

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