La partecipazione non crolla ma continua il declino. I dati per città

L’astensionismo è aumentato rispetto al turno comunale precedente e ha colpito maggiormente i capoluoghi del Centro-Nord e le grandi città

L’Istituto Cattaneo di Bologna ha effettuato alcune elaborazioni sull’andamento della partecipazione al voto in occasione delle elezioni comunali del 5 giugno. Si è trattato di un test importante che ha coinvolto 1.342 comuni per un totale di oltre 13 milioni di elettori. L’analisi si è concentrata sui 25 comuni capoluogo di provincia (di cui 7 capoluoghi di regione). La tornata del 5 giugno arriva dopo una lunga fase di appuntamenti elettorali, tra il 2013 e il 2015, che ha visto una forte contrazione dei votanti, scesi al 75% alle politiche e al di sotto del 60% alle europee e alle regionali, passando per il dato clamoroso del 2014 in Emilia-Romagna e Calabria quando andarono a votare circa 4 elettori su 10.Tra le elezioni cosiddette di secondo ordine, il voto per il proprio comune è riuscito a lungo a mobilitare, in ragione della vicinanza della posta in gioco, per la capacità maggiore da parte dell’elettore di poter influenzare il risultato, per il ruolo delle reti sociali locali nella costruzione del consenso. Era lecito aspettarsi che, di fronte a un’ondata generalizzata di disaffezione, anche le elezioni comunali subissero un significativo declino della partecipazione. I segnali in tal senso c’erano tutti: da quelli meno politici (la possibile smobilitazione enfatizzata dal “ponte” del 2 giugno) al basso profilo della campagna elettorale in comuni anche importanti dove si è notata soprattutto l’assenza di leader politici nazionali (con l’eccezione di alcuni, ad esempio Salvini). Questa combinazione di elementi difficilmente avrebbe contribuito a riattivare la componente di cittadini apatici, sempre più distanziati dalla politica proprio a causa dell’indebolimento del richiamo partitico. L’appuntamento del 5 giugno rappresentava inoltre un’ottima occasione, per l’elettorato rancoroso, di far sentire la sua voce (o meglio, la sua assenza) in una competizione che, per quanto locale, poteva diventare l’ennesimo canale di amplificazione dei messaggi di contestazione ai partiti e alla politica istituzionale. 
 
La variabile nuova, rispetto al voto del 2011, era rappresentata dalla presenza, in diverse sfide locali, di opzioni politiche anti-sistema o di rottura (il Movimento 5 stelle e, per certi versi, anche la Lega Nord) in grado di influenzare significativamente non solo il risultato finale ma anche l’affluenza al voto. Per leggere in modo completo l’andamento della partecipazione, nella nostra analisi abbiamo confrontato i dati del 2016 con quelli del precedente turno di elezioni comunali (avvenute nel 2011, anche se in tre capoluoghi tra cui Roma si è votato in periodi successivi).Per i 25 comuni capoluogo il tasso di partecipazione risulta complessivamente del 57,6%, quasi cinque punti percentuali in meno della precedente tornata amministrativa. Il dato generale nasconde una forte variabilità interna. Tra il capoluogo più partecipativo (Benevento: 78,5%) e quello meno partecipativo (Trieste: 53,4%) ci sono circa 25 punti percentuali di differenza. Complessivamente, ai primi dieci posti nella graduatoria della partecipazione si collocano esclusivamente (o quasi) città meridionali: oltre che a Benevento, il 70% di partecipazione è stato superato a Cosenza (72,4%), Crotone (71,2%), Caserta (70,9%), Latina (70,1%).
 
In coda alla graduatoria ritroviamo invece, oltre a Trieste, Napoli (54,1%), Milano (54,7%), Varese (55,9%), Torino (57,2%), Roma (56,2%). Complessivamente, nei capoluoghi del Sud la partecipazione è stata maggiore che al Centro-Nord: 60% contro il 56,7% al Nord e il 57,4% al Centro. Al contempo, tutte e quattro le grandi città al voto non hanno superato il 60% di votanti.Veniamo al confronto con il 2011-2016 (2012 per Brindisi, 2013 per Roma e Isernia). La diminuzione della partecipazione si è attestata mediamente sui 4-5 punti percentuali, ed è risultata più pronunciata al Nord (-10 p.p.) che al Sud (-6 p.p.).
 
Tra le grandi città, il calo è stato maggiore a Milano (-12,9 p.p.) e Bologna (-11,7 p.p.) e anche a Torino ha superato il dato medio nazionale (-9,3 p.p.). Colpisce, in questo confronto, l’arretramento della partecipazione nei capoluoghi dell’Emilia-Romagna: oltre a Bologna il calo dei votanti è stato ben superiore alla media delle altre città anche a Ravenna e Rimini (-10 p.p. circa). Si confermano, quindi, in questa regione, i segnali di forte disaffezione espressi clamorosamente nel 2014 e finora sottovalutati dalla politica ufficiale. Al contrario a Cosenza, Isernia, Brindisi i votanti sono diminuiti di 1-2 punti percentuali e anche a Napoli la variazione in negativo è in linea con il dato nazionale. Va valutato, infine, il dato di Roma, città in cui non si è avuto un arretramento della partecipazione (che è anzi aumentata di circa 3 punti), ma dove le comunali precedenti si erano tenute pochi mesi dopo le elezioni politiche con tassi di partecipazione particolarmente bassi.In sintesi, gli elementi di riflessione rispetto alla partecipazione elettorale sono, a nostro avviso, almeno due. Il non-voto continua a crescerela soglia scende sempre più, collocandosi sotto il 60% (in molte grandi città va a votare poco più di un elettore su 2).
 
Se le elezioni politiche trattengono meno elettori, lo stesso avviene per le comunali, ma con alcune differenze. La partecipazione rallenta la caduta nei centri medio-piccoli del Sud Italia, mentre entra fortemente in crisi nelle grandi città e al Nord. E questo avviene anche nelle aree da sempre partecipative come l’Emilia-Romagna, in cui il voto del 2016 dimostra come la crisi partecipativa di due anni fa non sia stato un semplice episodio anomalo.Il secondo elemento di riflessione riguarda l’intreccio tra partecipazione elettorale e offerta politica. A differenza del precedente turno delle amministrative, il 5 giugno si è votato dentro un quadro politico completamente diverso. In molti centri si è aggiunta, ai partiti tradizionali, la presenza competitiva di candidati di forze (ex) nuove come il Movimento 5 stelle o di candidati, come quelli della Lega Nord, in grado di rompere gli equilibri di coalizione tradizionalmente espressi sinora. L’effetto di queste opzioni politiche ulteriori (e più competitive) rispetto a cinque anni fa è stato ambivalente. Da un lato si è aperto uno spazio di scelta importante per quegli elettori indecisi o riottosi. Allo stesso tempo, però, il risultato positivo ottenuto dal Movimento 5 stelle e dalla Lega di Salvini in alcune città anche importanti non è stato sufficiente a frenare l’avanzamento dell’astensione. L’ambiguità che tali forze esprimono rimangono tutte. Siamo in presenza di formazioni che si fanno portatrici di nuove tematiche e che intendono rinnovare la politica tradizionale, ma che allo stesso tempo alimentano un messaggio antipolitico di contestazione radicale che gli elettori finiscono per assorbire e digerire anche come non voto.

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