L’Italia, l’Unione europea e i Rom

MILANO –  Rom. Se parliamo di quelli indigenti e perseguitati – per esempio le numerose famiglie che peregrinano dalla Romania, dove sono colpite da esclusione sociale e intolleranza, in cerca di un paese che consenta loro di restare unite e sopravvivere – dobbiamo amaramente riconoscere che l’Unione europea li ha traditi e abbandonati.

Si realizzano rapporti di fine anno, conferenze, eventi culturali, pubblicazioni, documentari, film, ma non si mettono in atto piani di accoglienza. Nonostante queste famiglie non posseggano nulla e l’unico modo che hanno per continuare ad esistere, sia pure in condizioni estreme, è quello di rifugiarsi in edifici abbandonati e di costruire alloggi di fortuna in cui riparare, molte voci si levano per sostenere che la base della loro “integrazione” è… la chiusura dei “campi” (campi lo scrivo fra virgolette, perché di fatto sarebbero spazi indispensabili alla vita di chi vi si rifugia) e degli insediamenti cosiddetti abusivi.

A questi “specialisti” (anche qui servono le virgolette, perché non sembrano rendersi conto delle condizioni di vita delle famiglie in questione) EveryOne Group – ma anche gli stessi Rom romeni – spiega che i campi non sono creati dalle istituzioni, ma sono aggregazioni spontanee di poveri. Quella dei “ghetti” è una favola inventata da chi si arricchisce sulla pelle degli emarginati. Si esce dai “campi” – senza alcun intervento associativo – con i pari diritti, con il lavoro. Chi non ha una casa, costruisce una baracca. E’ la logica della sopravvivenza. Tante baracche fanno un “campo”. Ma l’accesso all’istruzione e al lavoro consente a chi non ha una casa di affittarne – e magari poi acquistarne – una.

“Si impedisca la formazione di campi rom,” tuonano i fautori di ben strani progetti di integrazione. Come fanno a ignorare che i campi dove sostare, quando si è poveri e senza riparo, non ci sono più: tutti i comuni italiani sgomberano l’umanità povera ed emarginata che percorre il nostro paese in preda alla disperazione. La sgomberano senza alcun rispetto dei diritti umani. Restano solo alcuni “campi” storici, che non sono ghetti perché nessuno è obbligato a restarvi, ma può uscirne quando vuole per entrare in una casa. Già: questo è un falso problema. Se piano piano gli abitanti accedessero al lavoro, i “campi” sparirebbero automaticamente. O magari accoglierebbero altri esseri umani che non hanno un posto dove stare e il “campo” sarebbe ancora una volta un luogo da cui partire per uscire a propria volta dalla povertà e dall’esclusione. Chi vuole eliminare i “campi” senza dare alternative a chi è povero è causa di drammi umanitari sempre più gravi. Ogni essere umano senza casa – di qualsiasi etnia – dovrebbe avere i diritto di fermarsi su un proprio “campo” e costruirsi una baracca o montare una tenda. Si chiama “diritto alla vita”.

“Ma le istituzioni,” spiegano i sedicenti “amici dei Rom”, “non possono accettare i campi abusivi. Nessuno viene cacciato via. Si chiudono luoghi di degrado e si avviano percorsi di inclusione”. Parole. Solo parole. Le istituzioni attuano una repressione totale e spietata. I percorsi di inserimento sono pochissimi e mal realizzati: servono ai politici per gettare fumo negli occhi all’Europa e alle associazioni non etiche per giustificare i fondi ricevuti. Il paragone con i ghetti non regge proprio, perché i Rom possono tranquillamente vivere in case, se dispongono dei necessari mezzi di sostentamento. Il campo è la scelta estrema di chi non ha altra possibilità di sopravvivenza. E’ la mentalità dello sgombero che ha ridotto a 45 anni la speranza di vita media dei Rom in Italia. Non è umano né lecito allontanare da un riparo di fortuna chi non ha già la concreta possibilità di abitare in una casa.

Vi è chi, in buona fede, ritiene che i Rom siano tutti apolidi e per attuare progetti efficaci bisogna regolarizzare la loro posizione. Peccato che i Rom romeni, che in Italia sono una comunità molto numerosa, sono cittadini dell’Ue (come i bulgari, gli ungheresi ecc.), ma purtroppo ricevono lo stesso trattamento dalle istituzioni. A chi ritiene che le politiche sui Rom dovrebbero somigliare a quelle sui profughi, non si può che rispondere che anche i profughi in Italia se la passano molto male. I programmi concordati fra istituzioni e associazioni non vengono quasi mai rispettati, l’accoglienza è insufficiente e i fondi vengono sprecati malamente. Purtroppo il nostro paese è in una crisi di civiltà assai più grave di quella economica. E nasce una cultura dell’egoismo, del pregiudizio, del rifiuto… Per noi che operiamo a contatto con le minoranze perseguitate è sempre più difficile. 

Sono problematiche delicate, ma sono anche urgenze umanitarie tanto evidenti quanto ignorate da chi di dovere. Purtroppo non rappresentano priorità né nelle agende istituzionali né nei pensieri della gente comune. Di fronte alla burocrazia, alle autorità, alla magistratura i Rom sono vulnerabili e mai tutelati. Ogni risultato concreto nel campo della difesa dei diritti dei Rom va accolto con ottimismo e speranza. E’ importante lavorare accanto ai Rom e non al posto loro. Le loro tradizioni e le loro volontà devono essere rispettate, anche quando contrastano con la nostra logica di difensori dei diritti umani. L’obiettivo deve essere la libertà e la parità, non l’assimilazione. Pochi, purtroppo, perseguono questo traguardo. Gli altri vogliono condurre le minoranze sulla stessa strada che ha portato le maggioranze in un tunnel di materialismo, avidità, intolleranza e in una crisi – forse irreversibile – di civiltà.

Foto di Steed Gamero (Roma, 8 giugno 2008)

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