Inquinamento, morire d’aria

ROMA – Bilancio pesantissimo degli effetti sulla salute dell’inquinamento dell’aria del trasporto merci su gomma . E’ questo in sintesi quanto emerge dall’ultimo rapporto dell’Agenzia europea dell’ambiente (Aea), che fa il punto sui costi dell’inquinamento causato dagli autocarri in Europa.

Il Italia il costo in termini di salute del trasporto su strada ci costa: 15,5 miliardi di euro complessivi, di cui 7,2 miliardi a carico dei mezzi pesanti.
Su 33 città esaminate, Milano è terza in classifica dopo Zurigo e Bucarest per costo dell’impatto dei camion per km: 0,107 euro per i mezzi Euro III e 0,064 euro per i mezzi Euro IV.
I numeri che ne risultano parlano chiaro: l’inquinamento atmosferico causa 3 milioni di giorni di assenza per malattia e 350.000 morti premature in Europa ogni anno, con relativo impatto economico.
Solo i costi derivanti dalle emissioni inquinanti degli automezzi pesanti dei paesi membri dell’Aea ammontano a 43-46 miliardi di euro all’anno, quasi la metà del costo di circa 100 miliardi di euro per l’inquinamento atmosferico causato da tutte le modalità di trasporto. Gran parte di questi mezzi pesanti usa il gasolio, che genera emissioni considerate cancerogene dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro. In più bisogna considerare che con una maggiore densità di popolazione, l’assenza di sbocco al mare e aree montuose, aumentano i danni. Un automezzo Euro III da 12-14 tonnellate ha effetti negativi elevati in Svizzera (0,12 euro per km), ma anche in Italia, Germania, Austria, dove ammontano a circa 0,08 euro per km, contro circa mezzo centesimo a Cipro. Di qui la proposta dell’Aea: i pedaggi stradali per gli automezzi pesanti (HGV o autocarri) dovrebbero rispecchiare i vari effetti sulla salute legati all’inquinamento da traffico.

Malgrado l’evidenza di questi dati i combustibili fossili continuano a ricevere copiose sovvenzioni: 620 miliardi di dollari, contro 88 miliardi per quelle verdi e pulite. Lo ha dichiarato la IEA, Agenzia Internazionale dell’Energia, ribadendo che non ha senso da parte dei governi la promozione delle energie verdi se poi si continua a finanziare il consumo di combustibili fossili.
Per queste ragioni l’Agenzia ha esortato i governi del mondo a porre fine alle sovvenzioni annuali a gas e petrolio “un vero e proprio nemico pubblico, che danneggia e rallenta l’espansione degli impianti per la produzione di energia a basso impatto ambientale”.
Nel 2011 l’importo complessivo delle sovvenzioni ai combustibili fossili ha infatti superato i 620 miliardi di dollari. Circa 100 miliardi di dollari sono andati ad incentivare la produzione mentre 523 miliardi sono andati al consumo. Il dato è risultato superiore del 20% rispetto al 2010, crescita favorita soprattutto dall’innalzamento del prezzo del petrolio. Dei 523 miliardi di dollari andati al consumo 285 sono stati destinati al petrolio, 104 al gas naturale e 3 al carbone, mentre un supplemento di 131 miliardi è stato suddiviso tra le tre fonti di energia appositamente per la produzione elettrica. Al contrario solo 88 miliardi di dollari sono andati alle fonti energetiche rinnovabili, supporto che è stato quasi equamente suddiviso tra solare fotovoltaico, eolico, biomasse per la produzione di energia elettrica e biocarburanti (etanolo e biodiesel).
Gli analisti sostengono che la maggior parte delle sovvenzioni ai combustibili fossili si possono trovare nei paesi in via di sviluppo e nelle economie emergenti e, alla faccia della lotta ai cambiamenti climatici e gli impegni presi per contrastarli,  gli enormi sussidi e sgravi fiscali stanno inclinando il mercato globale dell’energia dalla parte dei combustibili fossili.

Da questo  scenario si distingue l’Unione Europea con la sua strategia  per una economia a basso contenuto di carbonio. Secondo lo studio   di Accenture e Agici Finanza d’Impresa che prevede come l’Optimal Fuel Mix nel 2020 per i 27 Paesi dell’Ue, sara’ dominato dalle fonti low carbon con il 60,8% (circa 2,190 TWh) dell’intera produzione di energia elettrica contro il 36,1% (circa 1,300 TWh) derivante da carbone e gas naturali.
Lo studio ha elaborato un modello analitico per comprendere e definire quale sara’ il mix energetico piu’ conveniente a livello EU 27 nei prossimi 7 anni prendendo in considerazione alcune variabili determinanti: la crescita della domanda (ipotizzando una crescita da 3,368 Twh del 2010 a 3,603 Twh nel 2020), i prezzi del carburante, la sicurezza degli approvvigionamenti (soglia massima di gas importato in Europa), il contributo delle energie rinnovabili (in linea con i target climatici europei 20-20-20). Il volume totale derivante dalle sole fonti rinnovabili per il 2020 e’ stimato in 1,297 TWh (+15 punti percentuali rispetto al 2010) distribuite tra idroelettrico (11.9% del totale di energia elettrica prodotta), biomasse (6,5%) eolico onshore (11.2%, eolico offshore (3,7%) solare fotovoltaico (2,4%), geotermale (0,3%). La proiezione dello studio esprime di fatto un trend che si sta gia’ manifestando in Europa con un incremento delle fonti rinnovabili (dal 15,8% del 2006 al 21,1% del 2010), un decremento delle fonti fossili (54,9% nel 2006 fino al 51,7% nel 2010) e delle fonti nucleari (dal 29,3% al 27,2%).

A fronte di questo insieme di dati viene da domandarsi: ma l’Italia, con la miopia delle sue  politiche energetiche e dei trasporti,  facora parte dell’Europa?

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