La programmazione preventiva di Protezione Civile – parte 3

Una strategia per la crescita intelligente, sostenibile e inclusiva

ROMA – Nel precedente articolo si è detto che la protezione civile è innanzitutto materia politica e il tecnicismo che le è stato attribuito in tutti questi anni ha celato la mancanza di politiche integrate di tutela: quello che è mancato in Italia non è la conoscenza dei rischi ma una cultura del rischio nella politica di gestione del territorio. L’Italia, uno dei paesi a più alta esposizione dai rischi, al contrario, nell’ultimo secolo, tranne una breve parentesi, ha sempre volutamente scelto e perseguito una politica o, meglio, una cultura dell’emergenza.

Le politiche nazionali di prevenzione adottate in Italia dal varo della moderna legge di protezione civile, la 225 del 1992, sono state deboli se non fallimentari e ciò lo si deduce dai recenti dati depositati presso la XIII Commissione Territorio, Ambiente, e Beni ambientali del Senato: “… ben 11 .000 frane e 5.400 alluvioni negli ultimi 80 anni. Solo negli ultimi 20 anni sono rimaste coinvolte da frane e da alluvioni oltre 100.000 persone e i danni stimati ormai superano i 30 MLD di Euro . Più dell’80% dei comuni presenta almeno un’area a rischio elevato o molto elevato di frana o di alluvione, mentre l’estensione delle aree a più elevata criticità idrogeologica è pari al 9.8 % del territorio nazionale, il 6,8% delle quali coinvolge direttamente zone con beni esposti come centri urbani, infrastrutture, aree produttive, strettamente connesse con lo sviluppo economico del Paese …”

Negli ultimi due secoli i terremoti hanno causato circa 130.000 vittime. Dal 1990 a oggi si è verificato mediamente un sisma ogni 5/6 anni ma in letteratura – mentre si conosce quasi tutto dell’impatto che tali eventi hanno avuto sul patrimonio storico, artistico e monumentale – non sembrano esistere stime precise di quali siano stati i danni sugli apparati produttivi. Più esattamente si è preferito non procedere mai a una stima di tali danneggiamenti e la conseguente ricaduta sul piano occupazionale.
I costi sostenuti dallo Stato dal 1968 al 2003 per le opere di ripristino-ricostruzione ammontano a circa 130 miliardi di euro. Questo significa una spesa di circa 4 miliardi di euro/anno. Questi in parte i costi dell’emergenza sismica. Per quanto riguarda i costi della prevenzione possiamo dire che è solo dal 1986 che si è cominciato ad investire in prevenzione sismica e che i fondi sono sempre stati stanziati a ridosso o immediatamente dopo un evento e mai frutto di una riflessione “a freddo”. Fino al 2003 sono stati investiti poco più di 300 milioni di euro per la prevenzione, di cui solo 66 milioni per l’edilizia privata. Nel 2003, a seguito del terremoto di San Giuliano, sono stati stanziati 750 milioni di euro per mettere in sicurezza le scuole e gli “edifici pubblici strategici”. In seguito, per la nota “prassi del rimbalzo”, parte di questi fondi sono stati impiegati altrove.

Nel 2009, a seguito al terremoto dell’Aquila, è stato istituito il Fondo per la prevenzione del rischio sismico, al quale sono stati destinati 963.504 milioni di euro da erogarsi in sette anni (2010-2016), principalmente per interventi di rafforzamento o miglioramento sismico (o, eventualmente, demolizione e ricostruzione) su edifici ed opere pubbliche d’interesse strategico per finalità di protezione civile, ma anche per su edifici privati e per le indagini di microzonazione sismica.
Il Fondo, già esiguo, non contempla alcun intervento per salvaguardare l’apparato produttivo-economico, perché tale sistema non rientra nella definizione di “opera strategica”. Questa definizione andrebbe rivista o, meglio, ampliata.
Ecco perché è necessario istituire il tavolo suggerito negli articoli precedenti e che vede insieme tutti gli attori presenti sul territorio, comprese le parti sociali. Solo tale consesso potrà utilizzare al meglio i limitati fondi nazionali -circa 53 milioni di euro è la somma che il Dipartimento di PC può destinare alle attività di previsione e prevenzione – ma soprattutto sarà in grado di intercettare al meglio, tutti i fondi messi in campo dalla UE in tema di prevenzione dalle calamità. Tema che la UE tiene in alta considerazione, tant’è che lo ha inserito nel suo atto istitutivo: il Trattato di Lisbona.
Per il periodo 2007-2013, ad esempio, la UE ha stanziato un budget complessivo di 344 miliardi di euro per la politica di coesione, circa 104 miliardi di euro sono stati investiti in interventi in campo ambientale. Del suddetto importo, sono circa 44 miliardi i fondi investiti direttamente in diversi settori tra i quali c’è anche la prevenzione dei rischi naturali, la riduzione dell’inquinamento e il recupero dei siti industriali.
Fondi che solo alcune regioni hanno saputo intercettare. In tal senso andrebbe previsto anche, oltre al tavolo su citato, un adeguato processo di formazione dei funzionari pubblici, per intercettare a pieno tutti i fondi UE. Fondi che, secondo il modello di sviluppo delineato dalla CGIL nel nuovo piano di lavoro, consentirebbero di avviare un processo virtuoso di tutela e adeguamento creando così nuovi posti di lavoro.

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