La foresta oltre la moschea

“Non so cosa possono pensare di un cristiano che entra in moschea!”, questo mi ha detto un collega. Io ho deciso di accompagnarli perché è poco che sono arrivati a Roma e mostrargli un luogo altro rispetto ai centri di accoglienza, alle ambasciate e ai vari commissariati di polizia significa dirgli “c’è qualcosa che può aiutarvi a rimettere insieme dei pezzetti delle vostra identità.

Un luogo dove potete sentirvi realmente a casa. Realmente voi stessi”. I ragazzi mi hanno chiesto di entrare insieme, di pregare con loro. Non gli è importato di rinunciare alla “preghiera grande” dell’una (non sarebbe stata compatibile con i miei turni di lavoro negli altri centri). Oltretutto per colpa degli autobus e del traffico dovuto all’apertura di Trony a Ponte Milvio, una volta scesi dal 320 abbiamo iniziato a correre. Sembravamo otto idioti. Otto idioti sorridenti che si scambiavano la testa della corsa. La meta era la preghiera delle 15 e 48. I ragazzi sbalorditi, vedevano avvicinarsi la costruzione e più eravamo vicini, più si rendevano conto di quanto la Moschea fosse grande. E’ la più grande d’Europa. Mailo mi prende la mano: “Io ho studiato il corano, sono imam, come un prete. Dirigo i canti quando preghiamo insieme al centro. Non avere paura, ti spiegherò tutto quello che devi fare”. Insieme a lavarci, con gentilezza e amore. Mi hanno accolto vicino e mi hanno guidato nei vari passaggi: “tre volte le mani, la bocca… Così”. Qualche sorriso, una pacca sulla spalla e di nuovo di corsa, fino alla sala. Sidiba si raccomanda: “spegni il cellulare e togliti le scarpe”. Sono felicissimi e lo sono anche perché ci sono io. Le emozioni si susseguono, cerco di imitare le loro mosse, di godermi l’atmosfera, partecipo. Ho la spalla sinistra che sfiora Mailo e quella destra che sfiora Mudo. Poi usciamo, loro scambiano parole con gli altri fratelli e poi mi fanno i complimenti. “Solo una cosa: la fronte deve toccare per terra”. E poi tante risate. Io ringrazio loro e loro me. Il prossimo venerdì torneranno in moschea da soli e porteranno altri ragazzi del centro. Mentre aspettiamo l’autobus sono incuriositi dal piccolo parco di fronte alla moschea. Toumbara e Brema non escono spesso, pur se autorizzati preferiscono restare al centro, hanno paura di perdersi. Timidamente mi domandano: “quella è una foresta?”. Gli dico: “non proprio, è un piccolo parco”. E loro: “In Mali ci sono foreste grandi e animali pericolosi. Le foreste sono belle, ma mettono paura. Ci sono alberi grandi, più grandi dei palazzi”. E poi: “Roma è grande, ha una grande moschea, ma una foresta molto piccola”.

Condividi sui social

Articoli correlati

Università

Poesia

Note fuori le righe