Il venditore di girandole. Una bengalese storia d’amore

ROMA – Ha il permesso di soggiorno da minore scaduto. Ha due mesi per rinnovarlo. E’ un venditore di girandole, carica la molla, si piega sulle ginocchia, poi accompagna il giocattolo verso l’alto, rialzandosi e facendo un saltello. Abbassa lo sguardo, allunga la mano, recupera la sua girandola e poi sorride al pubblico affascinato.

Lo ha fatto per tutta l’estate sul lungomare di Ladispoli, lo ha fatto in Primavera, di notte a Trastevere. “E’ un lavoro bellissimo, i bambini si divertono solo a vedermi, i genitori prima fanno finta di disinteressarsi poi tornano dopo venti minuti e me ne chiedono due, a volte tre. I più anziani la comprano subito e poi mi stanno vicini per un’ora, per capire bene come funzioni”.  Sarak è bengalese, viene dalla regione di Dinajpur. La corriera da quelle parti la si prende fuori, arrampicati sulla struttura. Tenendosi stretti gli uni agli altri. Si vive del proprio orto, delle proprie galline, nelle baracche. Se si è fortunati si coltiva il riso oppure si lavorano i tessuti. Tutto per 30 euro al mese. Sarak è un predestinato: “Io credo in Dio, per me i soldi non sono importanti, è importante essere corretti”. Il suo villaggio ha fatto una colletta per lui, gli ha pagato il viaggio e la permanenza nel nostro Paese. Lo conoscono tutti, sanno che è un ragazzo onesto, che li ripagherà. La sua famiglia ha preferito farlo studiare, non ha acquistato una casa di mattoni, non ha abbandonato il villaggio, non gli ha dato altri fratelli, ma gli ha permesso di acquisire un pensiero. Ogni giorno lo invitavano a fare volontariato, ad andare a trovare i bambini dell’orfanotrofio. “Ogni mese da un anno mando duecento euro ai miei bambini, prima che partissi la struttura ne ospitava quaranta, ora ne ha sessantacinque”. Ha i capelli neri, fini, talmente scuri che con i riflessi del sole sembrano avere le punte blu. Indossa vestiti tradizionali, lunghi fino ai piedi, rossi con ricami dorati. Dal tessuto lucido e il taglio squadrato. E’ gentile ed ha imparato benissimo l’italiano. Ha una pronuncia perfetta: “Ho studiato tanto quando stavo nel Centro di Accoglienza. Non dormivo molto, non potevo lavorare, ero sotto la responsabilità degli operatori, quello era l’unico modo per sentirmi attivo”. Da quattro mesi è maggiorenne, vive a casa di amici a Tor Pignattara. La sua è una storia d’amore. Nel 2009 ha conosciuto una ragazza di Dhaka, a 350 km dal suo villaggio, lo ha fatto per errore. Per telefono, digitando una cifra per un’altra. Da allora si sono sentiti ininterrottamente. Dopo 18 mesi lei gli ha inviato delle foto, lui invece ha aspettato di incontrarla. “Non volevo che lei mi amasse o mi odiasse per quello che sono fuori, volevo che mi conoscesse per quello che sono dentro”.

 

Poi il primo incontro a casa di lei, di fronte ai genitori e il secondo di fronte a tutte e due le famiglie. Una passeggiata lungo le strade di Dhaka, vicino all’università, che tanto aveva sognato di frequentare. Infine il progetto di vita insieme. Lui che parte per l’Italia, la trafila da minore non accompagnato, i 18 anni e le fatiche per il rinnovo. “E’ un anno che non ci vediamo, ci vuole pazienza. Domani partirò per Genova, c’è un mio concittadino che ha un ristorante, mi vuole fare un contratto come cameriere. Non so quanto e se mi pagherà. Nei giorni liberi venderò le girandole e appena avrò da parte un po’ di soldi rientrerò per qualche settimana in Bangladesh, le darò l’anello, le chiederò di sposarmi. Tornerò in Italia, mi farò un altro anno da solo e poi il matrimonio. Staremo ancora lontani, ma non ho paura. So che non ho bisogno di pensare ad altre donne. So che la mia vita è fatta solo da lei. Non ho la certezza che per lei sia lo stesso, ma ho la speranza e questo è ancora più bello”. Per ottenere il ricongiungimento familiare i tempi di attesa e controllo arrivano oggi ad un anno, nonostante per legge i tempi massimi per il rilascio del visto siano di 90 giorni.

 

Sarà forse il 2014, Sarak avrà 20 anni e forse finalmente una nuova famiglia al suo fianco. “L’Italia è un Paese libero, è qui che voglio far nascere i miei figli. Non saranno cittadini italiani? Non importa, saranno cittadini del mondo. C’è una cosa che non ha confini e che misura la grandezza delle persone, la capacità di amare. In Bangladesh le relazioni sono difficili, ma durature. In Italia sono brevi, confuse. Io credo nell’amore, senza riserve culturali. Un amore puro e infinito”. Sarak è un sognatore, ha acquistato un biglietto del treno per la Liguria, si fida della parola di un amico. Ma se quel contratto non arrivasse? Il sogno sarebbe interrotto. Ha viaggiato per 3 continenti, passando per India, Pakistan, Iran, Turchia e Libia. Da minore non accompagnato a uomo protetto da una bolla di magia, si ritrova in un Paese in crisi:“Penso al meglio, ma se non ce la dovessi fare, rientrerei in Bangladesh e mi sposerei comunque. Alcuni mi chiedono se sono sano di mente, se è normale andare avanti per anni e far girare tutto attorno ad una persona che ho visto così poche volte. Non un bacio, non una carezza, ma tante parole, tanti sentimenti. Siamo cresciuti insieme, con il confronto, l’appoggio delle nostre famiglie, i consigli dei nostri compaesani. Poi abbiamo sommato i nostri sogni, ci siamo giurati amore e abbiamo capito che non saremo soli. Anche in una terra straniera. Anche se in continua attesa di rivederci. Ci scriviamo delle lettere e ci diamo forza l’uno con l’altra. Io non ho contratto debiti, non sto a nessun ricatto. Per molti questa è una storia di immigrazione, per noi è una grande storia d’amore”.

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