Valentina Tarallo, la ricercatrice uccisa di cui non si parla più

ROMA – Il Primo Maggio Luca Barbarossa ha aperto il concerto di Piazza San Giovanni con il ricordo di Giulio Regeni. “C’era un ragazzo di 28 anni che come noi amava la vita e la libertà. Si era laureato alla Cambridge University e aveva scelto l’Egitto per fare il ricercatore. 

Sarebbe bastato sostituire i nomi dei luoghi e avrebbe funzionato lo stesso. “C’era una ragazza di 28 anni che come noi amava la vita e la libertà. Si era laureata all’Università di Torino e aveva scelto la Svizzera per fare la ricercatrice.”

Il Primo Maggio il Presidente Mattarella ha parlato di lavoro, e di sogni e di giovani che studiano e sperano un giorno di poter avere un impiego all’altezza delle loro aspettative e dei loro sacrifici. Ha ricordato Valeria Solesin e Giulio Regeni, “perché le mani assassine che li hanno portati via agli affetti delle loro famiglie e dei loro amici sono diverse ma li voglio accomunare perché amavano ciò che stavano facendo e pensavano che la serietà dello studio avrebbe aperto per loro e per altri la strada per un lavoro utile alla società”.

Era solo il Primo Maggio. E dal giorno della morte di Valentina Tarallo, la giovane ricercatrice torinese uccisa a Ginevra, erano passati appena venti giorni. 

Venti giorni perché sbiadisse dalle cronache la notizia della giovane scienziata italiana che studiava la microbiologia molecolare ed era l’orgoglio dei suoi genitori e un pezzo di futuro del nostro paese. 

Perché? Perché le “mani” che la uccisero non furono di terroristi o di uomini coinvolti con la polizia egiziana?

Che cosa ha fatto scomparire Valentina Tarallo dai giornali, dalle televisioni, dai concerti, dai discorsi del Presidente? 

Cosa ha fatto calare l’interesse nella ricerca del suo presunto assassino?

Nessuno ne parla più. Non ci sono coinvolgimenti internazionali. L’Italia non minaccia la Svizzera di bloccare i rapporti commerciali. 

Gli assassini di Regeni non li conosciamo, o almeno non ufficialmente. Di quest’uomo invece abbiamo il nome, l’età, la nazionalità; sulla sbarra trovata accanto al cadavere ci sono le sue impronte digitali. Se scriviamo il suo nome su Google appaiono persino delle fotografie. 

A che serve averlo riconosciuto?

L’Interpol lo sta cercando in tutta Europa. A che punto sono le indagini? Come può un ricercato internazionale, un delinquente comune, e non un terrorista coperto da una rete di protezione, scomparire così nel nulla? Si nasconde in Italia? Oppure è riuscito a tornare in Senegal, suo paese d’origine? Se sì com’è stato possibile che prendesse un aereo? 

Ha una ex moglie a Varese che lo ha denunciato per percosse, insomma c’è una pista una strada una traccia del male che quest’uomo ha lasciato dietro di sé. 

Eppure tutto sembra essere caduto nel silenzio.

Non conosciamo i rapporti che legavano Valentina al suo presunto assassino. Sono voci, supposizioni. Nulla di certo. Avevano avuto un legame? Che tipo di legame era?

Ma poi ci interessa davvero? 

L’omicidio di Valentina è stato subito “declassato” a femminicidio. E il femminicidio sta solo nella categoria femminicidio. 

Uno come gli altri. E come gli altri si porta dietro, nell’opinione comune, una certa dose di responsabilità. Quell’ombra che nessuno lo dice, ma c’è. E pesa. 

Dunque niente cerimonie ufficiali, o indagini in primo piano. 

A ricordare Valentina ci sono fiori ogni giorno al cimitero. Ci sono lettere e biglietti lasciati scivolare discretamente sotto la porta di casa dei genitori da parte di amici e di amiche. Senza fare rumore.

A ricordare Valentina ci sono state fiaccolate e preghiere. 

L’ultima il 22 Aprile sulle rive del lago che lei amava tanto a Ginevra. Al tramonto una scia di giovani ricercatori e persone di ogni età ha percorso silenziosamente il lungolago con una rosa bianca in una mano e una candela nell’altra. Sul molo che porta al faro, nel posto preferito da Valentina, hanno lasciato andare i fiori bianchi nell’acqua. “La marche blanche”, la marcia bianca l’hanno chiamata i giornali svizzeri. 

Il “Tribune de Genève” quotidiano di Ginevra, riportava che c’era anche una troupe di una televisione italiana a riprendere le immagini. Poi però qui nessuno le ha trasmesse. 

“C’è un ragazzo di 28 anni, si chiama Giulio Regeni e vive in ognuno di noi per chiedere giustizia e verità”.

C’è una ragazza di 28 anni, si chiama Valentina Tarallo e vive in ognuno di noi per chiedere giustizia e verità.

Poi si alzano le note della meravigliosa “Here is to you” che Ennio Morricone scrisse per Sacco e Vanzetti.

“Here is to you Nicola and Bart”. 

Here is to you Valentina, Giulio, Valeria. 

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