Mamme precarie e cattivissime

A farci sentire ancora più in colpa, ancora più inadeguate, ancora più manchevoli, ci mancava l’ultimo studio su madri e lavoro dell’Università Bicocca condotto dal giuslavorista Riccardo Bonato, secondo il quale i figli delle madri precarie parlano più tardi e peggio dei figli delle donne con il posto fisso. 

Secondo il saggio, pubblicato dall’editore Franco Angeli, dal titolo  La famiglia flessibile, nelle famiglie con lavoro tutelato  la percentuale dei bambini che parlano “in ritardo” è molto più bassa rispetto alle famiglie con madri precarie: 28% contro 40%.  Sarebbero infatti  le tutele che il posto fisso fornisce, come congedi più lunghi, allattamento e qualche volta part time, a far sì che i fortunati bambini parlino prima. 

E questo sarebbe ancora nulla per i nostri sensi di colpa. La mazzata vera arriva quando il professor Bonato ci dice che questo ritardo influenzerà per sempre lo sviluppo linguistico del nostro bambino. 

Come sia arrivato a questo risultato è presto detto: in un campione di bambini, Bonato ha diviso quelli che hanno pronunciato la prima parola prima dei 15 mesi e quelli che l’hanno pronunciata dopo.  Poi ha preso questi dati e li ha incrociati con la situazione lavorativa delle madri ed è venuto fuori che: “Nel segmento del campione in cui la madre è assunta con un contratto atipico la percentuale dei bambini che ha detto la prima parola dopo i 15 mesi è del 40,6 per cento. Laddove invece la madre ha un lavoro stabile, la percentuale scende al 28 per cento”.

Dunque “la mancata fruizione del permesso da parte della figura di riferimento” si legge “aumenta del 48 per cento la probabilità che il figlio appartenga al gruppo dei bambini nei quali si rileva un rallentamento dello sviluppo linguistico.”

Quindi dopo l’annosa questione se crescano peggio i figli di madri lavoratrici nevrotiche e stressate che dedicano ai figli poco tempo, o quelli di madri casalinghe frustrate e annoiate che dedicano ai figli troppo tempo ora si aggiunge una terza categoria in lotta per il primato della peggior madre dell’anno: le madri lavoratrici ma precarie o con contratti flessibili.  Non ci è dato sapere se i figli delle libere professioniste, delle free lance,  delle autonome debbano subire la stessa sorte oppure a loro sia risparmiata la gogna del parlare troppo tardi.  Ciò che in questo studio più fa rabbrividire è la relazione tra prima uguale meglio, tra bambino precoce uguale bambino che parlerà bene per tutta la sua vita.  Basterebbe leggere un po’ di pedagogia spiccia per sapere che lo sviluppo di ogni bambino è a sé, che soprattutto nel linguaggio prima non significa necessariamente meglio, che le ragioni per cui un bambino parla più tardi sono innumerevoli e spesso sconosciute anche alla scienza, e che ci sono migliaia  di esempi di bambini che hanno parlato molto tardi  che da adulti  hanno lasciato il segno nella storia (della scienza, della letteratura, dell’arte). 

Eppure il giuslavorista Bonato mette ancora in relazione la prima agognata parolina con lo sviluppo linguistico futuro del bambino. 

Ammesso e concesso che questo ritardo abbia una qualche importanza,  che  i dati incrociati tra loro siano stati quelli di famiglie che forse oltre ad avere un lavoro precario hanno anche altri tipi di problemi (di inserimento, di lingua, di accesso a certe strutture) che possono influire sullo sviluppo di un bambino non è dato saperlo.  L’unico dato importante  conosciuto è la precarietà della madre. Non vorrei darvi cattive notizie legislatori e giuslavoristi, ma lo sviluppo del linguaggio dei nostri figli non dipende dal tipo di contratto che abbiamo. 

Perché in caso non ve ne siate accorti abbiamo imparato a essere buone madri senza nessuna tutela lavorativa, a nascondere la pancia fino al settimo mese, a essere insostituibili sul lavoro anche con i figli, ad avere famiglie numerose  senza uno straccio di aiuto dalla stato, con i prezzi dei nidi altissimi e con il posto vinto come se fosse il bingo. 

Abbiamo imparato a essere presenti e flessibili sia che timbriamo il cartellino sia che ne abbiamo uno finto, a leggere le favole ai nostri figli prima che si addormentino, sia che arriviamo stremate da un viaggio internazionale che se abbiamo lavorato tutto il giorno in casa con i tappi nelle orecchie. 

Abbiamo imparato dai nostri errori, e da quelli delle generazioni precedenti. 

Leggiamo e studiamo già dai primi mesi di gravidanza su quali siano i modi migliori per stimolare il linguaggio dei bambini, la loro personalità, la loro motricità. Sappiamo sull’argomento molto di più di quello che sapevano le nostre madri, ci informiamo in rete e ci confrontiamo con decine e centinaia di altre madri in un gigantesco cerchio virtuale che abbraccia il mondo intero. 

E i nostri figli (precari come le loro madri) fanno parte della generazione più attenta, più creativa, più flessibile, più stimolata mai esistita.  Non siamo perfette. Ma quando ci siamo, ci siamo. E quando non ci siamo perché siamo al al lavoro, fisso o precario che sia, li affidiamo alle strutture migliori che abbiamo trovato dopo numerose ricerche, open day, e visite improvvisate  alle scuole, perché quella che scegliamo sia veramente la migliore per i nostri bambini. 

Facciamo questo e facciamo molto altro.      Se poi invece di farci rimanere precarie per tutta la vita ci date anche una manciata di tutele, faremo ogni cosa ugualmente, ma senza trattenere il fiato fino a che non siamo certe che dormano tutti. 

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