Dalle catene in un ristorante alla riserva naturale di Prishtina: la seconda vita di Gjina, Pashuk e Tomi

Il destino è cambiato per i tre orsi bruni usati come attrazioni turistiche in Albania, liberati da Four Paws e trasferiti in Kosovo. Ma presto anche l’Albania avrà il suo primo santuario per animali maltrattati

Gjina, Pashuk e Tomi sono arrivati nella loro nuova casa. Sedici ettari fra il verde, a pochi chilometri da Prishtina, in Kosovo, che da qualche anno sono diventati un luogo magico per gli orsi maltrattati d’Albania, i cosiddetti “Orsi dei ristoranti”. Dopo anni trascorsi nelle gabbie strette e arrugginite accanto a trattorie e fast food che li esibivano come infime attrazioni per turisti, per i tre orsi bruni si sono finalmente aperte le porte di una seconda vita che da qualche settimana è la loro nuova realtà. 

Four Paws, organizzazione animalista che da dieci anni si batte nell’area balcanica per ridare dignità e una nuova esistenza a questi animali sfruttati fino alla morte, è riuscita a strapparli alle loro miserevoli vite, contrattando prima con i proprietari la loro liberazione e poi organizzando il loro trasferimento nel santuario per orsi di Prishtina. 

Per Pashuk, per molti anni costretto a soffrire per molti anni in una gabbia accanto a un ristorante a Levan nel sud-ovest dell’Albania, la libertà ha avuto il sapore della guarigione. 

Catturato ancora cucciolo e messo immediatamente a catena, era letteralmente cresciuto dentro gli anelli di ferro che gli strozzavano il collo. Quando è stato liberato i veterinari hanno dovuto tagliare con una tronchesi la catena e operarlo immediatamente per ricucire la profonda ferita. «Ho visto un sacco di orsi sofferenti – ha commentato Carsten Hertwig di Four Paws – ma non ho mai visto nulla di simile in vita mia. Pashuk deve aver sofferto dolori lancinanti».

Secondo Four Paws sono ancora una cinquantina gli orsi in cattività nel territorio albanese. La loro prigionia è il frutto della tradizione che li vede come attrazioni turistiche da sfruttare nei pressi di ristoranti, ma spesso sono anche utlizzati per essere portati a catena lungo le spiagge come fenomeni da baraccone. Malnutriti (è il caso di Gjina, ad esempio, invecchiata a birra e pane dentro la sua gabbia), malati e spesso malttrattati per essere resi più docili e disponibili alle foto con i turisti. Che però ultimamente sembrano non apprezzare più un divertimento così disumano e anacronistico. Se ne è accorto anche il ministro dell’ambiente Albanese Lefter Koka che ha annunciato ufficialmente la costruzione di un santuario per gli orsi nel Parco Nazionale del Mali DAJTIT vicino a Tirana. Il primo del paese balcanico. «Abbiamo lavorato per individuare un territorio adatto – ha spiegato – il progetto è già pronto e ora abbiamo attivato una raccolta fondi per iniziarlo a costruire nel 2017». 

L’associazione animalista, che gestisce già cinque aree protette per orsi salvati dalla cattività, oltre a collaborare con il ministero dell’ambiente albanese ha lanciato anche una petizione per ottenere una legge che vieti la possibilità che gli orsi vengano imprigionati a scopo di divertimento e che invece tuteli gli animali selvatici. In sole tre settimane la petizione ha raccolto ben 100 mila firne. 

«Questi orsi soffrono una condizione di estrema povertà – spiega la responsabile della campagna di Four Paws Kieran Harkin – vivono nello squallore, maltrattati in gabbie sporche di pochi metri quadrati, senza possibilità di correre e saltare. Possono solo calpestare il cemento delle loro gabbie, senza mai toccare l’erba. Per questo molti di loro soffrono di disturbi comportamentali o di ferite che non si riescono a guarire». 

FOTO DI FOUR PAWS

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