Irlanda, voto del referendum approva il Fiscal Compact

Dalle urne emerge una netta maggioranza favorevole alle politiche di risanamento, ma rimane un significativo disagio segnalato dalla bassa affluenza

DUBLINO – Un altro sì all’Europa dall’Irlanda, dopo il referendum che alla fine del 2009 aveva posto fine alle accuse di antieuropeismo, che suonavano da un anno come strumento per forzare l’accettazione di tutte le conseguenze sociali del Trattato così come veniva posto. Il Trattato di Lisbona conteneva e contiene anche molti mezzi positivi di promozione della crescita socioeconomica nella Ue, ma il modo perentorio in cui veniva proposto negava ai cittadini la possibilità di discuterlo e apriva la strada al dubbio che la consultazione si sarebbe ripetuta finchè il risultato non sarebbe stato in linea con le posizioni di Bruxelles e di Strasburgo.

Oggi il risultato del referendum favorevole al Fiscal Compact, in una Irlanda che a differenza di altri paesi si sta riprendendo bene perchè non ha accettato il piano di rietro dal debito nella sua formulazione originaria, sottolinea ancora una volta il carattere europeista della repubblica irlandese, ma non deve indurre a sottovalutare altri aspetti, che appannano il risultato positivo della consultazione popolare: l’affluenza è stata molto bassa, anche perchè, come accaduto nella riedizione del referendum sul Trattato di Lisbona, c’è stata una delegittimazione che in varie forme è stata agitata contro i fautori del no.

In Irlanda le politiche di austerity, pur più equilibrate rispetto ad altri paesi nella distribuzione dei costi, hanno indebolito soprattutto coloro che avevano ricevuto duri colpi dagli anni della crisi economica, tanto che il voto contrario al Fiscal Compact, come era già accaduto nei due referendum sul Trattato, è venuto dai quartieri popolari, caratterizzati dal lavoro manuale, portato avanti da una parte della popolazione che non è antieuropea e che non è chiusa al resto della UE, ma che negli ultimi quattro anni ha pagato gli errori e i guadagni degli ambienti finanziari internazionali ed ha visto diminuire drammaticamente il proprio potere d’acquisto a fronte del salvataggio degli istituti di credito effettuato dallo stato irlandese e dalla Ue utilizzando le imposte versate dai contribuenti, soprattutto lavoratori.

Il Taoiseach (Primo Ministro) Enda Kenny ed il Tànaiste (Presidente del Parlamento) Eamon Gilmore hanno dichiarato, nel pomeriggio di venerdì alla fine dello spoglio, che l’Irlanda ha inviato con questo voto positivo un segnale importante sul buon punto nel quale si trova nella risoluzione della sua crisi oltre che sulla necessità di rafforzare l’integrazione europea, ma il sessanta per cento e oltre di voti favorevoli ed il quaranta per cento contrario (significativo anche questo del disagio di quasi metà della popolazione) non debbono far dimenticare che l’affluenza è stata solo del cinquanta per cento e mezzo (50,6 per cento): la bassa affluenza evidenzia quello che a sua volta va considerato un segnale, indicativo del modo in cui una parte della popolazione consistente e determinante nel ripagare i danni della crisi finanziaria in queste consultazioni risulta spesso delegittimata, etichettata come antieuropea, come populista, come disinformata.

Il Trattato di Lisbona ed il Fiscal Compact sono necessari alla costruzione di una Europa sempre più aperta e forte socioeconomicamente, ma governanti ed opinione pubblica non possono permettersi il lusso di dimenticare che (accanto alla politica che guarda cinquant’anni in avanti) ci sono nell’Unione Europea lavoratori, pensionati, studenti, immigrati, professionisti, disoccupati e piccoli imprenditori che vivono in questi difficili decenni e non nella proiezione futura delle migliori prospettive europee: il rispetto di un equilibrio sociale e della percezione concreta dei problemi nei singoli paesi è fondamentale per arrivare ad una Unione Europea veramente condivisa.

Nel referendum irlandese di venerdì primo giugno le circoscrizioni a carattere più agricolo e le aree popolate dalla classe media hanno detto sì al Fiscal Compact, anche se non si può escludere che alcuni lo abbiano fatto ricordandosi, come coloro che si sono astenuti dall’andare ai seggi, che nell’autunno 2009 fu ripetuto, dopo una campagna di delegittimazione verso i contrari, il referendum sul Trattato di Lisbona, che nella sua prima edizione era risultato in un esito negativo. Le aree metropolitane del lavoro industriale e artigiano però hanno espresso un voto negativo, che non va delegittimato.

L’Irlanda otterrà un supporto vitale dall’European Stability Mechanism, ma occorre che l’Unione Europea venga riformata perchè questi aiuti non lascino più, in futuro, l’impressione non del tutto infondata di un velato ricatto verso l’espressione della volontà dei cittadini, perchè questi atteggiamenti aggressivi (da parte delle istituzioni centrali e di governi sempre più tecnici nella fisionomia aldilà delle compagini che li sostengono) porterebbero davvero parti importanti delle società europee ad assumere posizioni populiste e di rifiuto della cooperazione continentale. Molti hanno applaudito il risultato positivo, come il leader del Fianna Fail, Micheàl Martin, pur annotando responsabilmente questi aspetti preoccupanti di pressione sull’opinione popolare, mentre Lucinda Greighton, Ministro per l’Europa, ha anche riconosciuto la differenza di voto tra classi sociali diverse per redditi.

Le forze politiche più critiche verso le richieste europee così come vengono calate nei paesi componenti in questi ultimi anni (non verso l’Unione Europea) hanno accettato l’esito del referendum. Il leader delo Sinn Féin, Gerry Adams, ha dichiarato, non senza basi, che si è giocato sulla paura di conseguenze economiche di un voto negativo e che quindi tanti hanno votato più per la preoccupazione di reazioni delle istituzioni preposte alla concessione degli aiuti che non per una convinzione piena degli effetti positivi del Fiscal Compact. Considerazioni simili sono venute dai rappresentanti del People Before Profit come Richard Boyd-Barrett e del Socialist Party come Paul Murphy. Anche dalla porzione euroscettica del panorama politico, dal ministro dei trasporti Leo Varadkar (Fine Gael) a Declan Ganley (che era stato in prima fila con il suo piccolo movimento del nordovest dell’isola anche nello schieramento del no al Trattato di Lisbona) hanno sottolineato elementi simili di forzatura dell’espressione popolare.

Come hanno rimarcato l’esponente del Fianna Fàil Darragh O’ Brien e la laburista Joan Burton, la quale è Ministro per la Protezione Sociale, adesso è importante che l’esecutivo (formato da Fine Gael e Labour) tolga una parte dell’enorme peso del salvataggio del sistema bancario dalle spalle delle parti più deboli e più produttive della società e promuova attraverso gli aiuti ricevuti ed i risparmi effettuati la crescita del lavoro e dei consumi, assieme ad una partecipazione sempre maggiore della popolazione alle politiche europee.

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