La partita di Bruxelles vinta dall’Europa

L’accordo del Consiglio UE apporta immediate conseguenze positive per l’economia dell’eurozona, ma segna soprattutto una svolta a favore dell’Unione politica europea

ROMA – Il calo dei differenziali e i rialzi delle borse stamattina sono solo gli indicatori superficiali della vittoria politica che l’Unione Europea ha segnato questa notte con l’accordo di Bruxelles al Consiglio Europeo. Stati come la Germania, economicamente più organizzati e che hanno dato oggettivamente di più nella storia della unificazione economico politica europea dagli accordi del ’57 di Roma ad oggi, dopo aver realizzato che qualsiasi disponibilità maggiore di mezzi sarebbe rimasta inefficace in un contesto di politiche nazionali isolate hanno compreso la necessità di una vera integrazione di decisioni economiche e quindi politiche con altri stati, alcuni dei quali effettivamente responsabili di aver posto dei freni allo sviluppo socioeconomico continentale negli ultimi venti anni, ma che hanno dato indubbiamente significativi contributi alla costruzione politica della UE e che rappresentano, per molti aspetti, una parte importante della sua produzione industriale, della cultura e delle potenzialità della comunità europea.

In questa svolta politica, insufficiente ma determinante per il segnale che la comunità manda a livello internazionale, la Francia ha ricoperto un importante ruolo di stimolo, anche se le dimensioni effettive della sua economia non rendevano praticabile una funzione persuasiva sulla base del peso concreto del paese, anche per questo si può dire che ci si è trovati di fronte ad una vera dinamica politica, in cui non sono stati importanti soltanto gli argomenti che facevano leva su aspetti deterrenti o su scambi di interessi limitati (che non sono mancati) ma inizia a formarsi anche una consapevolezza autentica del difficile contesto in cui si muove l’Europa e delle opportunità che a questa area politico culturale si apriranno solo se l’Unione politica europea comincia davvero ad esistere oltre le divisioni di stato e di schieramento.

Ad indicare questa necessità non sono tanto le reazioni più positive delle piazze economiche dei paesi come la Spagna (tra i più in difficoltà negli ultimi mesi) e di quelle che in tutto il mondo guardano all’Europa, nè la ragguardevole operazione sostenuta dagli stati per rafforzare le risorse della Banca Europea degli Investimenti in questo frangente, ma l’evidenza che si è manifestata attraverso le crisi finanziarie e gli attacchi speculativi degli ultimi anni della impossibilità (da parte degli esecutivi di qualsiasi orientamento) di tutelare i propri sistemi di protezione sociale ed il proprio livello di vita dai sommovimenti frequentissimi dell’ambiente economico e politico internazionale, in assenza di un mercato comune che non costituisse anche il terreno d’azione di un governo unitario europeo.

Occorre naturalmente andare adesso oltre i temi istituzionali e portare dentro l’organizzazione europea (per molti versi costruita a tavolino nonostante la sua lunga storia) l’esistenza concreta dei cittadini europei, elaborando forme di partecipazione che consentano una vera democrazia continentale e promuovendo la crescita socioeconomica attraverso la redistribuzione dei mezzi materiali e delle opportunità, la ricerca e l’innovazione, per arrivare ad una maggiore coesione territoriale e sociale, ma non basteranno gli sforzi regionali e statali, in una situazione in cui i cambiamenti nell’equilibrio finanziario delle diverse borse mondiali è in grado di compromettere la capacità di finanziare i propri sistemi di protezione sociale e le proprie infrastrutture da parte di paesi interi.

Questo è ciò che i fondatori dell’Unione Europea intuirono nel secondo dopoguerra, a seguito della liberazione dai fascismi che diede inizio alla libertà in Europa, il fatto che la democrazia e l’uguaglianza di opportunità nel continente avrebbero potuto svilupparsi soltanto avviando gli stati ad una cooperazione che avrebbe dovuto diventare integrazione prima economica ed infrastrutturale, poi culturale e infine politica, il passo che bisogna compiere oggi.

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