Detriti dello Tzunami nella Pacific Trash Vortex, l’isola dei rifiuti dimenticati

ROMA – Fra il 135º e il 155º meridiano Ovest e fra il 35º e il 42º parallelo Nord nell’Oceano Pacifico c’è il più grande monumento all’opulenza della nostra società.

Si tratta del “Pacific Trash Vortex”, l’isola di rifiuti ormai tristemente nota che galleggia tra le Hawaii e la California. E’ di oggi la scoperta per cui sull’atollo sarebbero arrivati i detriti dello tsunami giapponese dell’11 marzo del 2011, ampliandone notevolmente la dimensione. A scoprirlo e a renderlo noto è stato il californiano Ocean Voyage Institute nel corso della sua ultima missione in mare a bordo della Kasai, la nave da ricerca utilizzata dal gruppo di ambientalisti. La fondatrice dell’istituto, Mary Crowley, ammette di non sapere se sarà mai possibile ripulire le acque da tutta questa mole di plastica e rifiuti: nel Pacific Trash Vortex, come ha testimoniato l’equipaggio della Kasai, oltre a milioni di pezzetti di plastica ci sono anche secchi, contenitori e addirittura mobiletti da giardino e paraurti di automobili.
Una delle misure da prendere, come riporta l’agenzia Xinhua, sarebbe quella di dotare le Nazioni Unite di una task force composta da navi a disposizione delle diverse nazioni per ripulire il mare in caso di eventi come lo tsunami, che possono scaricare detriti in mare. Un’altra potrebbe essere quella di fare in modo che i governi ‘assumano’ i pescatori per raccogliere la plastica e conferirla in una sorta di centro del riciclo galleggiante nell’oceano, in grado di trasformarla in combustibile ed energia. Ma stiamo parlando comunque di una superficie enorme, stimata a seconda delle fonti dai 700.000 kq (ossia quanto la Penisola Iberica) ai 10 milioni di kq (quanto l’intera superficie degli Stati Uniti). Il Plastic Trash Vortex, si suppone si sia formato a partire dagli anni ’50, per mezzo della corrente oceanica chiamata Vortice subtropicale del Nord del Pacifico, il cui caratteristico movimento a spirale in senso orario ha permesso ai rifiuti di aggregarsi in un’unica massa.

L’esistenza di quest’isola sintetica era stata prevista in un documento  pubblicato nel 1988 dalla National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) degli Stati Uniti: alcuni ricercatori con base in Alaska avevano rilevato alte concentrazioni di rifiuti accumulati in alcune regioni con specifiche correnti marine, come il Mar del Giappone. Da tale osservazione gli scienziati ipotizzarono la presenza di un conglomerato simile nella zona di convergenza del Vortice subtropicale del Nord Pacifico, e le loro supposizioni si rilevarono esatte. Oggi è l’Ocean Voyage Institute l’istituto di ricerca che maggiormente si interessa a questo fenomeno. Nel corso degli anni, l’equipaggio della Kasai ha effettuato regolari spedizioni nel “Great Pacific Garbage Patchin”, la ‘grande chiazza di immondizia’, altro nome con cui viene definito il Pacific Trash Vortex. La conoscenza accumulata sul Vortex li porta a collaborare con le guardie costiere degli Stati Uniti per migliorare la sicurezza della navigazione minacciata dai detriti più grandi.
Sebbene  sia stata scoperta la capacità di alcune specie marine di adattarsi alla Grande Macchia, modificando le proprie abitudini di vita (è il caso di alcuni cirripedi aggrappatisi alla superficie delle bottiglie di plastica onnipresenti), tale accumulo di materiale sintetico rappresenta ovviamente un gravissimo danno ambientale. La plastica tende infatti a deteriorarsi nel tempo, immettendo nell’acqua sostanze tossiche. Inoltre molti animali vi rimangono intrappolati o ne sono soffocati .

Ma probabilmente l’aspetto più inquietante dell’ “Isolachepurtroppoc’è” è come essa rappresenti il “rimosso” del nostro sistema di produzione, ciò che vogliamo dimenticare: i rifiuti che produciamo. Come nell’invisibile città di Leonia, raccontata da Calvino, anche il nostro mondo vive nell’illusione di “rifare se stesso ogni giorno” accumulando intorno a sé i detriti delle vite precedenti. Ma come conclude lo scrittore italiano : “basta un barattolo, un vecchio pneumatico, un fiasco spagliato rotoli dalla parte di Leonia e una valanga di scarpe spaiate, calendari d’anni trascorsi, fiori secchi sommergerà la città nel proprio passato che  invano tentava di respingere, mescolato con quello delle città limitrofe, finalmente monde: un cataclisma spianerà la sordida catena montuosa,  cancellerà ogni traccia della metropoli sempre vestita a nuovo.”

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