Sudan: seggi aperti per referendum sull’autodeterminazione del sud

ROMA – In Sudan sono iniziate le operazioni di voto per il referendum che dovrebbe sancire la separazione del Sud dal Nord.

Una scissione che, se ci fosse, porterebbe alla nascita di un nuovo stato africano. Nel primo giorno di referendum le urne sono state aperte alle 8 locali, le 6 italiane e chiuderanno alle 18, le 16 italiane. Le operazioni di voto per il referendum comunque dureranno vari giorni e si concluderanno il 15 gennaio prossimo. Questo ad evidenziare le ovvie difficoltà logistiche derivabili dal fatto che l’appuntamento elettorale avviene in quello che, almeno finora, è il più grande stato africano. Per la grande importanza dell’evento, e per le possibili conseguenze che potrebbero derivare dalla divisione in due del Paese africano, la mobilitazione della comunità internazionale è alta. I timori derivano soprattutto dal fatto che il sud è ricco di petrolio. Proprio per questo, l’appuntamento referendario vede intrecciarsi attorno ad esso interessi economici e contrasti interreligiosi oltre a minacciare la stabilità dell’area. Di certo, se si formerà un nuovo stato al sud, cambieranno molte alleanze che influenzeranno le strategie sul piano internazionale

In totale nel Paese, a monitorare il voto, ci sono 17mila osservatori locali e oltre 1.200 stranieri. Sono 4 milioni i sudanesi che dal 15 novembre all’8 dicembre scorsi si sono iscritti nelle liste elettorali per il referendum. Il 95 per cento di questi aventi diritto al voto si trova nel sud, 116.800 sono invece,  nel nord, e 60mila nei Paesi confinanti, Egitto, Etiopia, Kenya e Uganda.

Nel Paese africano i seggi sono stati ripartiti in 2.600 nel sud, e 165 nel nord. In questa parte del Sudan, dove vivono 1,5 milioni di profughi  sono iscritti al voto oltre 115.000 elettori. Gli elettori dovranno dare la propria preferenza facendo una croce su uno dei due simboli disegnati sulla scheda. Chi deciderà a favore dell’indipendenza dovrà segnare il simbolo raffigurante una mano alzata che ricorda un gesto d’addio. Chi invece deciderà per l’unità dovrà segnare il simbolo raffigurante due mani strette come a suggellare un patto. Affinchè il risultato del referendum sia valido la Commissione per il Referendum sul Sud Sudan, incaricata di organizzare il referendum per l’indipendenza, ha stabilito che dopo il 15 gennaio, una volta chiusi i seggi, darà un mese di tempo per la comunicazione dei risultati ufficiali del voto. Una decisione derivata anche da estenuanti trattative con il governo di Khartoum che ha fatto molte pressioni. La vittoria della secessione, se ci fosse, in base a questo annuncio della Ssrc verrebbe ufficializzata il 9 luglio prossimo. Il referendum per l’autodeterminazione del sud è stato previsto dall’accordo di pace siglato a Naivasha in Kenya il 9 gennaio del 2005, il ‘Comprehensive Peace Agreement’, CPA.

 

Un Accordo siglato tra il governo sudanese di Khartoum e il gruppo ribelle del  sud, Sudan People’s Liberation Army, SPLA, di John Garang e che ha posto fine ad una sanguinosa guerra di secessione tra il Nord e il Sud iniziata nel 1983 e terminata dopo 21 anni. Di fatto la più lunga delle guerre civili combattuta nel continente africano e a causa della quale sono morte due milioni di persone e altri quattro milioni hanno cambiato il loro status in profughi. Un evento quindi che evoca tante preoccupazioni, ma anche tante speranze. Il rischio che possa riesplodere la guerra civile è alto. E questo volta sarebbe peggio della volta precedente. Se vincerà il SI all’indipendenza, come tutti ormai ne sono convinti, il Sudan entrerà in un periodo di sei mesi di transizione, durante il quale nord e sud negozieranno questioni spinose come la nuova frontiera e lo status del distretto pretolifero di Abyei, ricco di petrolio, oltre alla divisione del debito pubblico e dei proventi del greggio. Nel nord vivono 1,5 milioni di profughi del sud e non è ancora chiaro quale sarà il loro destino dopo il referendum, anche se l’intenzione del governo di Khartoum di rafforzare la sharia, la legge islamica, potrebbe spingere molti di loro a tornare a sud. Un esodo che di fatto è già in corso. Nelle scorse settimane oltre 55mila persone hanno fatto ritorno negli stati meridionali provenendo dal nord. Un rientro in parte di natura spontanea, in parte organizzati dal governo sudanese di Khartom e in parte grazie all`agevolato dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Unhcr. Però, è quella petrolifera la questione centrale su cui si discute e si teme che possano nascere attriti tra il nord e il sud se ci fosse la scissione, in due stati, del Sudan. A causa del fatto che il petrolio abbonda nel sud, ma gli oleodotti passano attraverso il nord per arrivare nei porti sul Mar Rosso, nella comunità internazionale vi sono forti timori di una possibile ripresa della guerra civile.

 

I principali giacimenti si trovano proprio nella regione di Abeyi, ai confini fra nord e sud. Anche qui doveva tenersi, secondo il Cpa, in contemporanea un altro referendum per stabilire a quali dei due Paesi dovrà appartenere quest’area in caso di vittoria della secessione. E’ proprio in questo distretto che si sono finora registrate tensioni e scontri. La parte nord è abitata dalle popolazioni nomadi arabe dei Missiriyah, vicine a Khartoum, mentre la parte a sud è abitata dalle popolazioni nere e stanziali dedite all’agricoltura dei Ngok Dinka, molto vicine a Juba. I Missiriyah, istigati da Khartoum, pretendevano di partecipare al referendum. Per il governo di Juba invece, potevano partecipare solo i Ngok Dinka in quanto i Missiriyah non vivono stabilmente in quella regione, ma solo nella stagione secca. Un accordo in merito non è stato trovato e quindi non si è votato. Lo scoglio insuperabile è stato quello che il sud accusa il nord di volere alterare i risultati del referendum facendo confluire gran parte della tribù nomade verso Abyei apposta per le elezioni. E’ sul petrolio che il governo della regione semi autonoma del sud conta, una volta acquisita l’indipendenza dal nord, di far crescere il nuovo stato che verrà creato. Ora la parte sud del Sudan è molto arretrata e la sua popolazione riesce a sopravvivere solo grazie agli aiuti internazionali e le incognite sul futuro nuovo Stato sono comunque tante

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