La Cina guarda all’Africa

ROMA – Continua l’avanzata del Dragone nel Continente Nero. Questa volta non si tratta di miniere, elargizioni governative, né di ambiziosi progetti infrastrutturali, ma di un altro mattoncino che va ad ampliare l’impero mediatico cinese, sempre più tentacolare e internazionale.

E’ con grande orgoglio che il China Daily, principale quotidiano cinese in lingua inglese, la scorsa settimana ha annunciato la nascita della sua versione africana, con base a Nairobi, capitale del Kenya. Il China Daily Africa Weekly, che sarà disponibile anche in formato digitale, si propone di spiegare “il rapporto tra la Cina e il continente africano”, andando a integrare il lavoro già svolto dalla televisione statale CCTV e dall’agenzia di stampa Xinhua, anch’essa controllata dal governo.

“Il rapporto tra Cina e Africa è tra i più significativi al mondo” ha commentato il caporedattore Zhu Ling ” è complesso e in crescita, ma non sempre compreso…speriamo di riuscire a fornire questo diritto”. Il nuovo giornale costituirà una piattaforma in grado di migliorare la conoscenza reciproca tra i due Paesi, secondo l’augurio del ministro dell’Informazione keniota Samuel Poghisio, citato dai media locali.

Alcuni mesi fa, quando fu inizialmente diffusa la notizia del progetto, il vice-caporedattore del China Daily, Gao Anming, dichiarò che la nuova edizione ha lo scopo di “introdurre la Cina al mondo e raccontare le notizie da una prospettiva cinese”. Forse presagendo le reazione che le sue parole avrebbero potuto suscitare, Gao si è affrettato ad aggiungere che, sebbene di proprietà del governo, la testata segue una politica editoriale indipendente e che i membri del consiglio interno non sono funzionari statali. “Facciamo anche circolare report contro il governo e suggeriamo alcune misure per migliorarli” ha spiegato.

Come riporta City Press, il China Daily vende in patria 250 mila copie al giorno, alle quali vanno aggiunte le 170 mila edizioni settimanali distribuite in America e le 150 mila in Europa. Secondo le stime iniziali, la versione africana dovrebbe riuscire a vendere 10 mila copie, grazie alla presenza sempre più massiccia di cinesi espatriati nel Continente Nero, il cui numero si aggira ormai attorno al milione.

L’arrivo del China Daily in Africa è stato accolto con entusiasmo anche da Jinghao Lu, analista a Johannesburg presso il desk della società di consulenza Frontier Advisory, il quale ha notato come “i giornalisti cinesi in questo continente siano ancora relativamente pochi”. “E’ una buona cosa che i cinesi sappiano di più di quello che accade in Africa, dato il crescente coinvolgimento della Cina qui” anche se -ha spiegato Jinghao- molti dei lettori saranno probabilmente gente del posto.

Gli scambi tra mezzi di comunicazioni cinesi e africani si sono intensificati negli anni 2000, con la distribuzione di supporto tecnico, forniture dei contenuti, sino all’offerta di una formazione giornalistica da parte di Pechino. All’inizio di quest’anno la China Central Television ha lanciato CCTV Africa, con quartier generale in Kenya, mentre Xinhua e China Radio International, già presenti nel continente dagli anni ’50, continuano a consolidare la propria posizione.

Proprio la CCTV africana, che trasmette giornalmente un telegiornale della durata di un’ora, un talk show e diversi documentari alla settimana, “ha fatto incetta di presentatori noti a livello locale e personale vario di altre emittenti televisive” riporta eXpressionToday, rivista pubblicata da The Media Institute, ong che si batte per la libertà d’espressione in Kenya. Circa cento i dipendenti assunti dalla tv di stato cinese, molti dei quali kenioti.

Nonostante la dinamica dell’insediamento siano poco trasparenti, come sottolinea l’ong ‘watchdog’, “fonti del ministero degli Esteri e dell’Informazione rivelano che l’ingresso della CCTV in Kenya è stato sancito dal Forum della cooperazione sino-africana (Focac) del 2006”; occasione che ha visto il presidente Mwai Kibaki volare a Pechino accompagnato da una delegazione di 40 capi di Stato e di Governo africani per cementare le relazioni tra i due Paesi.

Se all’inizio la penetrazione dei mass media d’oltre Muraglia ha avuto lo scopo di esportare la ‘fabbrica del consenso’ di Pechino e dare supporto ai movimenti di liberazione africani, adesso il ruolo degli organi d’informazione cinesi è, piuttosto, quello di un ‘cavallo di Troia’; una testa di ponte del ‘soft power’ con il quale il Dragone punta a scalzare colossi internazionali quali CNN e BBC.

“Questa espansione arriva in coda al flusso” commentava a maggio Tom Rhodes, del Comitato per la tutela dei giornalisti “la maggioranza dei media occidentali si stanno ritirando dall’Africa orientale: la BBC è stata costretta a licenziare molti corrispondenti e France 24, per contenere i costi, ha reso nota la fusione con France Internationale”.

Così, mentre l’informazione ‘made in Occidente’ batte in ritirata, la Cina ne approfitta per fare il proprio gioco e dare una nuova immagine di sé. Lo confermano le parole di Song Jianin, direttore di CCTV Africa il quale tempo fa ha criticato apertamente la cattiva pubblicità messa in giro dai big dell’informazione internazionale. “I media internazionale descrivono costantemente la Cina come un monolite, ne denunciano le ambizioni coloniali ed enfatizzano alcune circostanze, con scarse spiegazioni storiche del rapporto China-Africa” ha commentato Song.

Per combattere la diffamazione nel Continente Nero, Pechino sembra aver intrapreso una strategia ben nota in patria: quella del bavaglio. Lo dimostra il generoso sostegno fornito alle emittenti statali, (piuttosto che a quelle private) molte delle quali, come la radio nazionale della Guinea Equatoriale e la Zimbawe Broadcast Holdings Company, sono note per la loro scarsa libertà di stampa. Non solo. In Etiopia la multinazionale cinese ZTE sta investendo 1,7 miliardi di dollari per effettuare una revisione del sistema delle telecomunicazioni, dal quale -secondo uno studio dell’Università di Oxford- trarranno grande giovamento i censori locali.

Ma le vie del ‘soft power’ sono infinite e, come riporta la BBC, Pechino avrebbe già provveduto a piazzare un maxischermo ad Addis Abeba, in Etiopia, oltre ad aver promosso migliaia di borse di studio per giornalisti africani. La Xinhua ha, inoltre, collaborato con una società di telefonia mobile keniota per la distribuzione di news service sui cellulari. Chiari segnali che il Dragone non si accontenta più di essere ‘soltanto’ il primo partner commerciale dell’Africa.

Gli scambi bilaterali sono cresciuti dai 10,6 miliardi di dollari del 2000 ai 160 miliardi del 2001. Lo scorso luglio, durante il quinto Focac, il governo cinese ha stanziato prestiti di natura concessionale per 20 miliardi di dollari da erogare nei prossimi tre anni, mentre il presidente uscente Hu Jintao ha chiesto una maggior cooperazione con gli stati africani anche sul piano delle relazioni internazionali.

Pechino non bada a spese per propagare la propria voce nel mondo. Dall’inaugurazione di CCTV America, all’apparizione del China Daily come supplemento pubblicitario nel New York Times e Washington Post. Sino al debutto a Broadway. Nel maggio 2011 la Xinhua si è aggiudicata uno degli spazi più esclusivi della Grande Mela: l’ultimo piano di un grattacielo nel cuore di Times Square, sul quale campeggia uno schermo al LED di 18 metri per 12. Il tutto, pare, per 400 milioni di dollari al mese.
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