Francia. Via al maxi-processo per le protesi mammarie pericolose

MARSIGLIA – Si riaccende il caso delle protesi mammarie PIP, lo scandalo che da due anni scuote le cronache del mondo scientifico. E’ previsto per oggi a Marsiglia, infatti, l’inizio del maxi-processo ai danni di Jean-Claude Mas, l’imprenditore che per anni ha esportato gusci protettivi fraudolenti.

Quasi 300 mila donne in tutto il mondo rischiano la vita perché doppiamente esposte ai rischi di rottura della membrana del guscio delle protesi e perché riempite di silicone industriale idoneo solo alla produzione industriale di materassi. Una sorta di colabrodo in grado di causare la morte delle pazienti, e nel migliore dei casi cisti o dolori lancinanti.

Sono già 5 mila le donne che si sono costituite parte civile al processo che vede imputato il 73enne Mas. Ma non è detto che questo numero possa lievitare da qui al 17 maggio, giorno in cui è previsto il giudizio finale. In Francia è infatti possibile ritenersi parte lesa fino all’arringa finale. E non è escluso che nelle 30 mila protesi istallate Oltralpe, altre donne decidano di rimpolpare il numero delle denunce. Per ospitare il il processo, il tribunale marsigliese si è spostato alla sala congressi della città, il Parc Chanot: 4800 metri quadri con una capacità di 700 persone, più altre sale connesse via streaming alla sala dell’udienza. Circa 800 mila euro il costo complessivo per il trasferimento.

Si tratta delle prima occasione di incontro tra Jean-Claude Mas, che deve rispondere di lesioni e omicidio volontario, frode e bancarotta fraudolenta e le sue accusatrici. L’imprenditore, già posto in arresto, ha ammesso di aver utilizzato un gel 10 volte meno costoso di quello regolamentare per favorire i profitti. Le autorità giudiziarie francesi si sono spese a favore di un processo più veloce degli altri scandali sanitari. Sul banco degli imputati anche altri quattro vice direttori della Società, che rischiano 5 anni di carcere, ma anche i manager tedeschi dell’azienda TUV, che ha concesso l’approvazione dei prodotti.

Solo pochi giorni fa c’erano stati delle pressioni dell’élite dei medici chirurghi britannici per rimuovere le protesi nocive nelle circa 50 mila pazienti sparse nel Regno Unito. Esattamente come è successo in Francia, dove circa il 50% degli impianti è già stato rimosso. Ma l’eco delle proteste si sono levate anche in Olanda, in Venezuela e Germania e Spagna. Il business delle protesi mammarie della Poly Implants Prothèses è una questione che ha coinvolto mezzo mondo, e dei costi del ritiro delle protesi fraudolente si è fatto carico il governo francese. Solo in Italia si calcola che siano 5 mila le protesi impiantate fino ritiro dal commercio imposto nel 2010. Ma della questione poco si è parlato. Soprattutto sulla necessità immediata di espianto di protesi per molti ritenute cancerogene, ma che negli studi della Royal Free Hospital nel nord di Londra e della University College di Londra sono risultati solo “significativamente più deboli” di altre marche.

Non più tardi di due settimane fa Giovanni D’Agata, fondatore dello “Sportello dei Diritti”aveva denunciato l’inerzia delle istituzioni sanitarie italiane. “Il Consiglio Superiore della Sanità non si è espresso con un parere esaustivo sulla questione. Per le protesi Pip non esistono prove di maggior rischio di cancerogenicità ma sono state evidenziate maggiori probabilità di rottura e di reazioni infiammatorie. Pertanto, le donne che hanno subito un impianto di protesi mammarie Pip sono invitate a discutere la loro situazione con il proprio chirurgo”. Uno scandalo che secondo l’esperto doveva essere già chiuso con un provvedimento del Ministero della Salute che “avrebbe dovuto ordinare la rimozione delle protesi e la loro sostituzione tutto a carico del Servizio Sanitario Regionale visti i rilevanti rischi per la salute ed in virtù dello stesso principio di prevenzione adottato in Francia”. “Invece – si legge – è da sottolineare che il Ssn ha purtroppo stabilito di farsi carico degli interventi medico/chirurgici solo laddove vi sia un’ ”indicazione clinica specifica”.

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