Usa: troppi debiti e poco lavoro. La crisi degli studenti smuove la Politica

WASHINGTON – Il futuro dei giovani studenti universitari americani ha sempre meno stelle e sempre più strisce. Da qualche tempo il dibattito sullo stato attuale del futuro delle nuove generazioni “made in Usa” accende il dibattito interno dei cittadini nei vari stati.

Non buone notizie purtroppo. Il fattore di rischio non è solo la disoccupazione, circa al 7,4% del totale, quanto piuttosto su uno degli effetti dei jobless o dei sottopagati: il default del cosiddetto “student’s loan”. Il prestito che in molti accendono per potersi permettere gli studi negli esosi college statunitensi. Non proprio bazzecole se si pensa che un college in America ha un costo che tocca a malapena un infinitesimo rispetto alle rette dell’università pubblica italiana. Un decimo rispetto alle già costose università private del Belpaese. Un ostacolo che ha portato al profilarsi di quello che noi in Italia chiameremmo il “prestito d’onore”. Una somma di denaro presa anzitempo e che si provvederà a restituire solo dopo aver trovato lavoro. Un buon lavoro.

Non una novità: anche l’attuale Presidente degli Stati Uniti Barack Obama riuscì a completare i suoi studi grazie allo “student’s loan” e ai risparmi dei nonni. Un esempio della concreta possibilità di emanciparsi che è stato uno dei tratti distintivi dell’America. Un paese spesso etichettato come la più grande democrazia del mondo.

Ma dall’inizio della crisi ad oggi la situazione degli studenti americani è mutata. L’accollarsi del debito del college è infatti diventato un rischio. Un passo più lungo della gamba minato dalla disoccupazione e dai lavoratori sottopagati. Alcune stime hanno evidenziato come più del 30% degli studenti non riesca a mantenere l’impegno di ripagare quanto gli è stato prestato prima degli studi. Non si tratta di una somma complessiva trascurabile: si parla di circa 1,2 miliardi di dollari, secondo quanto diffuso dal Consumer Financial Protection Bureau. Circa il 40 mila di dollari per ciascun studente. Una somma a cui aggiungere almeno 15 mila “bigliettoni” se durante il proprio percorso formativo ci si è imbattuti in un master. Un gruzzolo che si sarebbe raddoppiata negli ultimi dieci anni e che attualmente si è attestata sul 6% del debito totale americano. Non poco.

Tutti investimenti che sono stati fatti quando la parola crisi era una cosa molto esotica o anacronistica. Niente a quel tempo faceva presagire le difficoltà di trovar lavoro negli anni della crisi. Con buona pace per i vari sogni americani e le speranze di migliaia di studenti. Ma il problema non è solo psicologico. Da disillusioni e sogni infranti la questione, presto, si potrebbe ingigantire. Soprattutto se effettivamente il default si concretizzerà. L’ultimo garante per questi prestiti è infatti lo Stato, e quindi i contribuenti, che a breve potrebbero sobbarcarsi l’onere del debito e gli effetti dei mancati introiti di quegli investimenti.

Ecco quindi tracciato un potenziale effetto depressivo dell’economia americana: uno studente indebitato non potrà più investire ulteriormente sul proprio futuro. Niente casa, niente auto, niente investimenti sulle start-up. Una sgradita novità per quanto concerne le loro abitudini. Da quelle parti hanno capito che ogni problema sulla “meglio gioventù” rischia solo di far aumentare il gap tra i ricchi poveri. “Il gioco è architettato per far sì che il ricco e potente diventi ancora più ricco e potente” ha dichiarato recentemente la senatrice Elisabeth Warren, a tal proposito. Ma ben più in là è andato invece il presidente Obama.

Quello sulle differenze all’interno della società è solo uno dei problemi. Forse il più trascurabile e quello su cui più si può discutere. A torto o a ragione e a seconda delle ideologie. Il rischio più serio che sfugge, soprattutto in alcuni Paesi del Vecchio Continente (troppo presi da difendere quello o l’altro paladino di un ceto sociale) è che senza liberare dagli ostacoli il cammino a chi il futuro lo dovrà varcare con le effigie da protagonista non si va avanti. Il concetto è stato ben espresso proprio dal massimo esponente democratico. “Il costo del college è molto alto. E’ fuori dalla portata di molte famiglie, e per coloro che lo fanno si rischia di far pesare sulle loro spalle un peso che rischia di minare il loro cammino: nel comprare casa o nell’avviare la propria attività. Con potenziali effetti sull’economia globale”. E’ quanto detto da Obama. Poche parole che esprimono tutti i rischi del Domani. Proprio per questo Obama ha offerto dei piani per ridurre al minimo il costo del prestito degli studenti con un alleggerimento degli interessi. Uno sgombero dai guadagni dei privati o dalle speculazioni dei mercati che potrebbe alleggerire del 3% sul totale, che si attesta attualmente sul 6,5%. Il senato ha già detto sì, ora la palla passa alla Camera. Ma c’è ancora molto da fare. Soprattutto per coloro che si sono laureati nel 2007 e 2008, ossia nel bel mezzo dell’uragano recessivo della crisi. Quella generazione è l’esempio più lampante della crisi. Si tratta probabilmente della fascia più esposta, e dati alla mano si tratta di circa il 40% dei laureati in quegli anni. Questa la fetta di torta di coloro che secondo Fobes si sono usciti indebitati dal College. Senza contare quanti abbiano abbandonato gli studi per mancanza di soldi, certamente una quota maggiore rispetto a quella degli altri anni. Un dramma su cui la Politica americana ha affisso il cartello “work in progress”.

Se quanto è stato detto o scritto sia solo un dipinto catastrofico con oggetto il futuro americano sarà solo il tempo a stabilirlo. In molti hanno sottolineato come i vari Steve Jobs e Mark Zuckemberg non abbiano portato a naturale compimento i loro studi e che abbiano comunque contribuito a far brillare l’economia statunitense. Sottolineando, quindi, come il seme dell’innovazione non sia per forza da ricercare nei college più esclusivi. Ma nelle autorimesse dove si sono concretizzati molti brillanti progetti che oggi movimentano la vita di molti occidentali. Altri, però, hanno sottolineato proprio come le nuove start-up non siano state viziate da debiti scolastici. E quindi siano stato più facile reperire risorse per il proprio sviluppo. Come sempre tracciare una soluzione univoca è difficile e semplicistico.

Quel che è certo è che sicuramente il dado è stato tratto e che il dibattito sulle nuove generazioni è entrato prepotentemente nello scenario pubblico americano. Con la certezza che il problema, in un modo o nell’altro, verrà risolto. Sarebbe bene che anche altrove, nel Vecchio Continente, si inizi ad apportare questi temi nel dibattito pubblico. Dando spazio a un po’ di lungimiranza e freschezza di contenuti.

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