Guerra in Siria, il mondo tentenna. Gb abbassa i toni. L’Italia predica prudenza

WASHINGTON – Folate di vento a tratti più forti, a tratti più fioche, quelle che hanno caratterizzato la giornata odierna sul fronte siriano. Un andamento sinusoidale condizionato dalle notizie che provengono dalla Gran Bretagna, capofila nella corsa all’armamento anti-Assad.

A Londra parlamentari richiamati dalle ferie per darsi appuntamento a Westminister, sede del Parlamento. Una fretta che unita ai movimenti nelle acque internazionali intorno alla Siria avevano fatto presagire ad un attacco imminente da parte inglese. Ma questa suggestione è andata via via affievolendosi durante l’arco della giornata. Soprattutto se si prende come “original” la posizione espressa dal premier David Cameron in sede parlamentare, meno avvezzo all’ingresso in guerra a voce rispetto a quanto scritto in un documento del governo britannico diffuso nella prima mattinata di oggi. Alla Camera dei Comuni in premier ha definito “impensabile” in caso di “vasta opposizione” al consiglio di sicurezza dell’Onu l’intervento in Siria. Mentre nel documento in questione che aveva preceduto il discorso del premier, le premesse erano altre: ossia che l’intervento fosse “giustificabile legalmente” su “basi umanitarie” anche senza Onu. Una frenata bella e buona che probabilmente è coincisa anche monitorando quanto emergeva tra gli alleati esteri.

Sul versante europeo movimentato è stato anche il fronte transalpino. Giornata di visite parigine per il ministro degli Esteri Emma Bonino, attesa dal ministro degli Esteri Laurent Fabius e dal Presidente François Hollande. Durante il summit con il suo omologo francese la titolare della Farnesina ha confermato la posizione attendista e cauta di quanto emerso in mattinata, evidenziando la distanza che separa l’Italia dal governo francese sulla questione siriana. “Prendiamo atto che abbiamo posizioni diverse. Non sulla condanna, tanto meno sull’orrore e sull’indignazione, ma c’è un apprezzamento diverso sul che fare, su quale ambito legale agire”. Prima dell’incontro con il ministro italiano, Hollande aveva ricevuto Ahmed Assi Jarba, presidente della coalizione nazionale siriana. L’opposizione ufficiale al governo di Assad. “Bisogna fare il possibile per trovare una soluzione politica” ha detto Hollande durante la conferenza stampa di chiusura dell’incontro.

Posizione attendista espressa anche sul versante teutonico. Il portavoce del governo tedesco ha reso nota una telefonata tra la Cancelliera Angela Merkel e il presidente russo Vladimir Putin. Nella conversazione, “c’è stato un dettagliato scambio di opinioni su vari aspetti della crisi siriana” ed entrambi i leader hanno concordato sul fatto che “l’Onu deve continuare a lavorare per il regolamento diplomatico e per una soluzione politica” della crisi siriana. . Niente di nuovo, in sostanza di quanto dichiarato nei giorni scorsi dal portavoce Steffen Seibert “Non seguiamo la strada di una soluzione militare. Non crediamo che sia possibile risolvere (il conflitto) dall’esterno”. La maggior parte dei timori espressi dalla Germania soggiaciono nel timore di attacchi terroristici in risposta all’intervento tedesco nel conflitto siriano.

Dall’altra parte dell’Oceano non ha deciso il da farsi nemmeno il Presidente americano Barack Obama. Nel rassicurare il popolo americano dall’impossibilità di ritorsioni terroristiche stile 11 settembre, il presidente americano ha confessato di non aver ancora deciso sull’intervento. In realtà, sostengono gli esperti, è l’operato dei suoi precedessori, i suoi precedenti “pacifisti” durante il suo cammino politico individuale all’interno del Partito Democratico da una parte, e la necessità di lanciare un segnale alla Siria e all’Iran per quando concerne l’uso di armi di distruzioni di massa a condizionare l’atteggiamento amletico del presidente.

Che serva una risposta all’uso di armi chimiche in Siria è d’accordo tutta la comunità internazionale. Anche l’ Italia, oggi durante una telefonata del premier Letta con Cameron ha ribadito il fatto che con l’uso massiccio di armi chimiche in Siria si è oltrepassato il punto di non ritorno.

L’immagine emersa dal colloquio anglo-italiano è molto simile al quel “filo rosso da non oltrepassare” spesso scelto da Obama per “giustificare” l’intervento in Siria. Ma Obama appare in difficoltà su questo fronte soprattutto per i timori che la Siria si trasformi in un nuovo Iraq. In sostanza, secondo quanto dicono i bene informati, Obama non vorrebbe dar di sé un’immagine di un presidente guerrafondaio con verve imperialistica come il suo osteggiato predecessore G. W. Bush. Obama vuole farsi ricordare come il presidente degli Stati Uniti che ha ritirato le truppe da da due guerre (Iraq e presto l’Afghanistan). Non colui che ne ha fatto una terza. Un po’ come fece Carter, spesso citato da Obama, che mai portò gli Stati Uniti in nessun conflitto. Tuttavia Obama vuole essere ricordato più incisivo sul versante internazionale. Carter, infatti, fu l’unico presidente degli Stati Uniti a non portare in guerra gli Stati Uniti. Ma spesso la storia lo ricorda proprio come il debole sul versante esterno, proprio per l’atteggiamento pacifista che gli Stati Uniti hanno avuto in quegli anni. Sarà anche per questo che Obama tentenna. Il segretario della difesa americano Hagel, durante un intervista alla BBC, ha dichiarato che gli Stati Uniti sono “pronti” a lanciare un attacco. Ma per il momento in tutte le capitali più calde sta vincendo il versante di chi predica cautela e maggior riflessione. A discapito di chi, oggi, vedendo la corsa agli armamenti nelle acque del Mediterraneo prevedeva l’inizio di un sanguinoso conflitto.

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