Cina, corruzione. Il tribunale di Jinan decide l’ergastolo per Bo Xilai

PECHINO – Il tribunale di Jinan ha condannato l’ex astro nascente del partito comunista cinese Bo Xilai all’ergastolo per i reati di corruzione, a sette anni per abuso di potere e 15 anni per appropriazione indebita. Il sessantaquattrenne verrà anche privato a vita dei suoi diritti politici e delle sue proprietà, che verranno date in gestione ai governi locali. Ora l’ex segretario della cittadina di Chongqing ha dieci giorni di tempo per fare ricorso e ottenere uno sconto di pena.

Nessuna sorpresa nella sentenza di Bo Xilai. Alcuni esperti hanno parlato di sentenza leggera nei confronti del figlio d’arte di uno di uno degli “otto grandi funzionari” che hanno condotto dagli anni Sessanta a oggi la scalata della Cina verso la posizione di più grande potenza mondiale. Altri invece hanno evidenziato i numerosi dubbi che hanno portato l’ex “principino rosso”, paladino della lotta alla malavita e alla corruzione ad esser estromesso dal potentissimo organo decisionale del Politburo e dal partito comunista nel giro di pochi mesi. Il processo si era concluso attorno ad un brusio mediatico mondiale lo scorso 26 agosto. In quella circostanza Bo dichiarò la sua estraneità ai fatti e “ridicole” e “piene di bugie” le dichiarazioni che lo hanno portato alla condanna. Quella di non fare “mea culpa” è stata una strada poco seguita nei precedenti casi analoghi nel passato. Per il reato di corruzione, in Cina, vige la pena di morte. In molti sostengono che questa sentenza, ritenuta lieve, ci sia qualcosa di poco chiaro. In primis c’è chi sostiene che Bo che possa mettere in imbarazzo Xi Jinping, attuale premier cinese e che per questo gli sia stato concesso il guanto bianco. Questo timore, secondo molti, si evincerebbe anche dal fatto che alla stampa non è stato concesso di seguire il processo dall’interno dell’aula ma che la cronaca sia stata affidata a testimonianze on-line provenienti dal tribunale. Immediate si, ma certamente passate tramite un “filtro”.

Il tutto cominciò il 7 febbraio 2012, quando Wang Lijun, ex capo della polizia di Chongqing ed ex braccio destro di Bo si rifugiò dentro un consolato americano dichiarando di avere in mano un dossier capace di incastrare la moglie dell’ex esponente dell’ala più radicale del partito comunista. In particolare l’ex capo della polizia, condannato a 15 anni, aveva in mano le prove che la donna avesse avvelenato mortalmente il businessman inglese Neil Heywood, trovato morto in una camera di hotel della cittadina di Chongqing alla vigilia del XVIII Congresso del partito. Da lì è partita la discesa per Bo Xilai, accusato di voler aiutare la posizione della moglie Gu Kailai, a cui è stata sospesa la pena di morte e a cui potrebbe esser concesso l’ergastolo. Fu solo la prima delle accuse che gli erano piovute sopra. All’ex ministro del commercio, nonché plenipotenziario di Chongqing, megalopoli a sud ovest della Cina, sono state successivamente imputate mazzette per 2,5 milioni di euro. Bazzecole rispetto a quanto di fatto maneggiasse quotidianamente. Dopo queste accuse pesanti, la posizione di Bo cambierà. La moglie in questi giorni è stata definita una “pazza drogata” nonché amante del suo ex braccio destro Wang, suo principale accusatore. E’ facile in questo marasma capire come la questione sia ingarbugliata e crei non poco imbarazzo ai vertici cinesi.La sentenza nei giorni scorsi era stata anticipata anche da una lettera fatta filtrare dal carcere dall’uomo. Nelle righe comparse e pubblicate, uno stralcio secondo quanto è venuta alla conoscenza la Cnn, forte l’amarezza per l’imminente condanna. “Il mio nome sarà pulito un giorno, io aspetterò tranquillo in prigione” dove ha detto l’ex leader cinese ha detto di non sentirsi solo perché in compagnia delle foto di quei genitori che hanno passato le pene dell’inferno per le persecuzioni e gli imprigionamenti che ebbero fine solo nel 1979.   

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