Pirateria: sette danesi ostaggi dei pirati somali

ROMA – Crescono i timori per la sorte degli ostaggi danesi caduti nelle mani dei pirati somali.

Sulle sue pagine web il giornale danese ‘Ekstra Bladet’ rivela che gli ostaggi sono stati sbarcati a terra. Un fatto questo, che fa temere soprattutto per un allungamento dei tempi di soluzione della vicenda. Nei casi in cui si verifica questo evento si complicano notevolmente la situazione in quanto esso incide molto sulle trattative per il rilascio degli ostaggi e riduce di molto anche le garanzie di sicurezza per gli stessi ostaggi. Questo, in quanto sulla terraferma scorazzano bande armate che fanno il bello e il cattivo tempo e già in passato sono entrati in conflitto con i pirati somali nel tentativo di strappargli la preda dalle mani. Con molta probabilità i sette danesi sono stati aggregati ad un altro gruppo di ostaggi stranieri, per meglio controllarli ed evitare possibili attacchi. Purtroppo questa strategia è l’ultima a cui stanno ricorrendo i predoni del mare somali. La prima volta che se ne è avuta notizia è stato lo scorso 12 gennaio da allora sembra che questo nuovo modo di operare abbia fatto scuola. I sette ostaggi europei dei pirati somali sono in parte i membri della  famiglia Johansen di Copenaghen, padre, madre e tre figli minorenni, e in parte i due marinai equipaggio del loro Yacht. Per ora sono noti solo i nomi dei coniugi danesi, Jan e Marie, e dei loro figli adolescenti, Rune, Hjalte e Naja, rispettivamente di 17, 15 e 13 anni. Il gruppo, tutti cittadini danesi, viaggiava a bordo di uno Yacht di 43 metri battente bandiera danese. La loro barca a vela, come rivela giornale danese, è stata avvistata al largo della costa somala dove hanno i loro covi i moderni filibustieri. I sette cittadini danesi sono stati catturati lo scorso 24 febbraio nell’Oceano Indiano mentre erano in navigazione dalle Maldive verso l’Africa intenti a compiere il giro del mondo. Il loro Yacht è ora ancorata nei pressi del villaggio costiero di Haffun nella Somalia settentrionale e sembra che siano ostaggi di una delle sette gang del mare che spadroneggiano nel mare dei pirati. A rendere noto che gli ostaggi sono stati portati a terra è stato Abdiaziz Mohamud Yusuf, portavoce del gruppo ‘Puntland Pace Makers’ che ha fatto anche sapere che i pirati somali, che li tengono in ostaggio, hanno minacciato di ucciderli nel caso si tentasse con un  blitz militare di salvarli. In zona sono infatti, presenti unità navali da guerra danesi, che operano nell’ambito delle missione militare di contrasto alla pirateria marittima, quella della Ue, ‘EUNAVFOR Somalia – Operation Atalanta’ e quella NATO, CTF 508 e SNMG1.

 

Con molta probabilità a bordo hanno anche unità delle forze speciali danesi, Frogman, particolarmente addestrati nel salvataggio di ostaggi. Però, difficilemente giungerà loro l’ordine di intervenire. Questo alla luce di quanto è accaduto di recente ai passeggeri dello yacht americano, S/v Quest. La barca venne catturata, nelle scorse settimane, al largo dell’Oman dai pirati somali e il sequestro si è concluso, pochi giorni fa, in maniera tragica. Jean e Scott Adam e i loro due compagni di viaggio, Phyllis Macay e Robert Riggle, sono morti uccisi nel corso di un tentativo, delle forze speciali USA, di strapparli dalle mani della gang del mare che li teneva in ostaggio. Anche la Marina Militare danese si è, anche di recente, resa protagonista di diversi blitz militari con cui ha colpito duramente i pirati somali. Lo scorso 8 febbraio le forze speciali danesi hanno liberato i 25  membri dell’equipaggio della mercantile,  Ariella, battente bandiera di Barbados.  Pochi giorni dopo, la nave da guerra danese, Haumann,  catturava una nave madre pirata con a bordo 16 pirati e due ostaggi.  Si trattava di un peschereccio catturato e convertito a nave pirata.  La presenza di ostaggi a bordo era giustificata dal fatto che  questi sono costretti a cooperare attivamente con i pirati nel manovrare le navi e nel favorire le attività di abbordaggio delle altri navi. Il giornale danese rivela anche che, Andrew Mwangura, esperto in pirateria e che lavora nel Paese del Corno D’Africa per conto della ‘Seafarers Assistance Programme’ che in genere si è prende l’incarico di organizzare i contatti tra i pirati somali e i rappresentanti dei  Paesi coinvolti nel rapimento, ha invece, messo in guardia su quello che viene scritto dai media danesi sulla vicenda. A lanciare un altro avvertimento è l’ex deputato ed ex sindaco di Kalundborg, città di origine dei coniugi Johansen, Tommy Dinesen.

 

Il suo avvertimento è che occorre evitare di dare vita ad una raccolta fondi per pagare un’eventuale riscatto. Questo, in quanto spingerebbe i predoni del mare, che hanno catturato i sette danesi, ad alzare la richiesta. Dinesen basa questo suo avvertimento sulla sua esperienza quasi ventennale in parlamento, dove si è interessato per diverso tempo il fenomeno della pirateria marittima. L’orientamento indicato dall’ex parlamentare è quello di attendere che siano i pirati somali a farsi avanti e fissare una richiesta e poi mobilitarsi. Anche perché, potrebbero avere contatti con qualcuno in Danimarca che passi loro informazioni. In merito l’esperto tedesco, Michael Kneissl ha spiegato che il riscatto che verrà richiesto comunque sarà alto in quanto attualmente i pirati somali non si accontentano più di somme inferiori ai milioni di dollari. La somma richiesta dovrebbe aggirarsi introno ai 7 milioni di dollari. A pesare sulla entità della somma il fatto che i sette sono cittadini europei che i pirati somali considerano i più preziosi e fruttuosi. La stessa esperienza che sta vivendo la famiglia danese degli Johansen era toccata anche ai coniugi inglesi Paul e Rachel Chandler. I due vennero catturati  il 23 ottobre del 2009 mentre erano in navigazione nell’Oceano Indiano, dalle Seychelles alla Tanzania, a bordo del loro veliero ‘Lynn Rival’. I due vennero rilasciati lo scorso novembre, dopo oltre un anno di prigionia,  e solo dietro al pagamento di un riscatto. Allora si parlò di oltre 800mila dollari pagati in due trance. Dopo la liberazione i coniugi Chandler hanno raccontato delle sofferenze vissute e del duro trattamento che hanno subito.

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