Il test nordcoreano e’ una sfida aperta al presidente Usa

NEW YORK – Il test balistico effettuato dal regime nordcoreano nella giornata di ieri, 4 luglio – proprio in concomitanza con il Giorno dell’indipendenza negli Usa – e’ stato recepito dalla stampa statunitense come una plateale sfida rivolta al presidente statunitense, Donald Trump. la dura retorica del presidente Usa, sottolinea il “New York Times”, sinora non ha mutato di un virgola la condotta del regime nordcoreano, che ieri ha festeggiato il lancio di un missile capace, secondo le stime del dipartimento di Stato Usa, di arrivare a colpire obiettivi in Alaska.

Il giudizio dei principali quotidiani Usa, pero’, e’ pressoche’ unanime: di fronte alla minaccia del programma balistico nordcoreano, Trump ha a disposizione pochissime opzioni, e tutte rischiose. Lo scorso gennaio, ricorda il “New York Times”, il presidente Usa scrisse sul suo profilo Twitter che il regime “non riuscira’” a dotarsi di missili in grado di colpire il territorio Usa. Cio’ che il nuovo inquilino della Casa Bianca non sapeva era quanto Pyongyang fosse vicina a tale obiettivo, e quanto limitato fosse in realta’ l’ambito d’azione a disposizione del presidente Usa. Il timore di Washington scrive il quotidiano, non e’ tanto che Pyongyang possa lanciare un attacco missilistico preventivo contro gli usa: si tratterebbe di una “mossa suicida”, e il dittatore Kim Jong-un, al netto delle sue bizzarrie, “in cinque anni ha dimostrato di essere mosso dal puro istinto di autoconservazione”.

Una Corea del Nord armata di missili intercontinentali, pero’, muterebbe profondamente l’approccio di Trump e dei suoi successori alla difesa degli alleati nella regione dell’Asia-Pacifico. Come sottolinea un funzionario dell’intelligence Usa citato dal quotidiano, la minaccia di missili intercontinentali metterebbe sotto enorme pressione l’inaffidabile sistema di difesa statunitense, che negli ultimi anni ha esibito risultati altalenanti nel corso dei test di collaudo. Trump “ha ancora tempo per agire”: a dispetto del giustificato allarme, il lancio balistico di ieri sembra dimostrare che Pyongyang non e’ ancora in grado di colpire la costa occidentale degli Usa, e in particolare citta’ come Seattle e Los Angeles. E’ per questa ragione, forse, che Trump non ha ancora opposto alla Corea del Nord alcuna “linea rossa” invalicabile. Il presidente, comunque, dovra’ operare una scelta difficile tra un approccio teso al “contenimento classico”, che non risolvera’ il problema; un rafforzamento delle sanzioni, accompagnato magari da una maggiore presenza navale Usa nella regione e dall’accelerazione del programma segreto statunitense per il sabotaggio informatico del programma balistico di Pyongyang, che pero’ – a giudicare almeno dal test di ieri – sinora non ha funzionato. In caso di minacce immediate, la Casa Bianca potrebbe infine optare per un attacco militare preventivo. Secondo l’ex segretario della Difesa William J. Perry, che auspico’ una misura simile in un editoriale sulla “Washington Post” nel 2006, le condizioni odierne pero’ tendono a eliminare questa opzione, perche’ nell’arco dell’ultimo decennio la Corea del Nord si e’ dotata di troppi missili di differenti categorie, e un attacco preventivo metterebbe in serio pericolo gli alleati degli Usa nella regione. L’amministrazione Trump ne e’ consapevole: il segretario alla Difesa Jim Mattis ha dichiarato alla Cbs, lo scorso maggio ,che un conflitto con la Corea del Nord “sarebbe probabilmente il peggiore nell’arco della vita di gran parte delle persone”. L’unica via possibile, conclude il “New York Times”, potrebbe davvero essere quella del negoziato, auspicata dal presidente sudcoreano neoeletto, Moon Jae-in. 

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