Minacce al Papa dall’Isis

MARAWI – E’ un pezzo del conflitto con lo Stato islamico (Isis) di cui raramente si parla, eppure è un fronte caldo in questi ultimi mesi. Marawi, nella regione meridionale di Mindanao, è sconvolta da combattimenti da maggio.

E proprio da questa città è arrivato un nuovo video nel quale si lanciano minacce al Papa e si promette di “arrivare a Roma”. Le Filippine sono un paese ampiamente cattolico, nel quale vive una minoranza musulmana. Marawi è diventata l’epicentro di un sanguinoso conflitto tra le forze regolari di Manila e circa 600 militanti jihadisti che hanno giurato fedeltà allo Stato islamico. L’insurrezione è iniziata il 23 maggio, dopo che i soldati avevano cercato inutilmente di catturare il leader del gruppo Isnilon Hapilon.

Secondo quanto riferisce il giornale Philippine Star, finora, sono morte 760 persone in quattro mesi di combattimenti, che segnano un alzo del tiro da parte dell’Isis in Asia sudorientale, dopo che il gruppo jihadista, oltre al radicamento in Siria e Iraq – dove è dato in ritirata -, ha fatto proseliti anche in Afghanistan. Il problema di Marawi non è considerato secondario non solo da Manila, ma anche dalle principali potenze presenti in Asia orientale e sudorientale. Gli Stati uniti, alleato storico di Manila, hanno offerto assieme all’Australia aiuto e forniscono sorveglianza aerea per aiutare le forze filippine a localizzare i jihadisti. Ma anche la Cina ha fornito il suo aiuto. 

Le chiese cattoliche e i fedeli sono tra gli obiettivi dei militanti Isis. A dire della stampa locale i soldati stanno avendo dei risultati. Ieri avrebbero riconquistato la moschea, che era stata anche minata. Secondo i militari, ormai il numero dei jihadisti si è assottigliato a una quarantina. Questo contribuirebbe a inquadrare l’appello contenuto in un video di al Hayat Media Center, la casa di produzione legata all’Isis, a recarsi a Marawi per contribuire alla “jihad”. In quello stesso video si vede la profanazione di una chiesa – scene che ricalcano sostanzialmente quelle di altre clip precedentemente diffuse. Il presidente filippino, Rodrigo Duterte, si è recato ieri a Marawi e si è fatto vedere in divisa militare, con l’elmetto in testa. Ha ispezionato palazzi e strutture riconquistate e ha anche sparato qualche colpo. Un modo per infondere sicurezza ai suoi soldati e nell’opinione pubblica.

L’approccio ottimistico non è tuttavia condiviso da molti. Due giorni fa il principale gruppo ribelle islamico delle Filippino, il Fronte Moro di liberazione islamica, ha dichiarato che l’Isis sta “prendendo forza”, denunciando il fatto che decine si stanno moltiplicando “conversioni” allo Stato islamico. Mohager Iqbal, uno dei leader dell’organizzazione, ha spiegato che almeno 50 dei loro militanti sono passati con l’Isis. Il Fronte Moro è il principale gruppo ribelle di Mindanao, con 10mila uomini e con un’esperienza di combattimenti di decenni. In questo conflitto sono morte più di 100mila persone. Nel 2014 l’organizzazione aveva firmato un accordo con il governo di Manila che prevedeva l’istituzione di una regione autonoma musulmana a Mindanao. Toccherebbe a Duterte, un leader che ama mostrarsi come campione della linea dura e la cui campagna antidroga è costata migliaia di vite in tutto il paese in esecuzioni sommarie, fare in modo che l’accordo abbia un seguito. Iqbal, sostanzialmente, spiega che in caso contrario molti giovani elementi sarebbero attirati dal messaggio dell’Isis. A pagare caro queste vicende, ovviamente, è la popolazione civile. L’organizazione non governativa Acted, nei giorni scorsi, ha parlato di “catastrofe umanitaria” nella regione. Circa un milione di persone hanno dovuto lasciare le loro case e anche i beni di prima necessità mancano. 

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