Wikileaks. Anche l’Africa nel mirino dell’intelligence americana

NOUACHOTT – Wikileaks fornisce informazioni anche sui rapporti tra Mauritania e Usa.

Infatti lo stato del Sahel è presente secondo le statistiche del sito 498 volte nei documenti datati  tra il 2005 e il 2010. In particolare, in un cablo dell’aprile 2009 la Mauritania è inclusa in un gruppo di stati del Sahel (Burkina Faso, Capo Verde, Ciad, Gambia, Mali, Niger e Senegal) per la raccolta dei dati sulla sicurezza (dal terrorismo alle azioni di peacekeeping), sull’attività politica e diritti umani, sulle questioni socio-economiche e sulle reti di telecomunicazione ed informative. Leggendo il testo in inglese standard si viene a conoscenza dell’incarico dato ai funzionari di alimentare il database di fax, email ed indirizzi dei principali uomini politici e capi militari mauritani. Da un profilo giornalistico ci si trova davanti ad una non notizia: di cosa si deve occupare un servizio di intelligence di un ambasciata se non di raccogliere più informazioni possibili su tutto quello che avviene di rilevante nel paese ospitante ed in primis avere i recapiti di “chi conta”?

 

Potrebbe essere che entrando più nello specifico della documentazione possano emergere valutazioni specifiche sulla situazione politica mauritana. C’é d’attendersi valutazioni, anche poco diplomatiche, nei confronti dell’autore del colpo di stato del 2008 l’attuale presidente Abdel Aziz, come la conferma di una relazione preferenziale nei confronti dell’altro golpista il colonnello Mohamed Vall che rovesció dal potere il dittatore Taya nel 2005. Ma anche in questo caso si tratterebbe di non notizie, poiché sono fatti già archiviati a livello di documentazione storica. Diverso sarebbe se dalla documentazione emergesse un coinvolgimento diretto di uno stato straniero in uno dei due colpi di stato. E’ pensabile trovare esplicite ammissioni in una documentazione riservata ma sostanzialmente ordinaria come quella che Wikileaks ha messo a disposizione sulla rete? Ricordando il catastrofico 11/09 non lo si puó escludere. Perché l’efficienza e l’efficacia dei sistemi di sicurezza statunitensi (ma il discorso potrebbe essere applicato a tutti i sistemi d’intelligence o security di qualsivoglia nazione) è fiction per Hollywood e i serial televisivi, ma impraticabile in un sistema informativo e telecomunicativo quale è quello attuale.

 

Nessun serio studioso di sicurezza ed intelligence in camera caritatis parlerebbe di sicurezza delle informazioni da garantire al 100%, ma nemmeno all’80%. Non di rado la sicurezza del dato equivale al lancio di una moneta: 50%. Ossia il caso regna sovrano. Questo non significa che per chiunque sia possibile violare i segreti più reconditi delle cancellerie di stato. Se fino agli albori dell’era dell’elettronica erano sufficenti le testimonianze dirette dei protagonisti a violare i sancta sanctorum dei luoghi del Potere, oggigiorno è necessario un concerto di fonti diverse (testimonianze, conversazioni telefoniche e digitali, documenti ufficiali e documentazione grigia, file e tracciati record, indirizzi fisici ed elettronici) per turbare i sonni dei potenti di turno.La sicurezza è quindi determinata dall’elevata entropia del sistema informativo. La moltiplicazione delle fonti informative genera un flusso incommensurabile di bit e byte che produce la più sicura delle password: l’irrilevanza.

Proviamo a ragionare: l’sms dell’oscuro impiegato dell’ufficio protocolli dell’ambasciata o la mail confidenziale del Presidente degli Stati Uniti che parla di un possibile colpo di stato in Mauritania sarebbero cosí importanti?  Sicuramente siamo stati abituati a pensare che l’e-mail del Presidente sia importante in ogni caso, ma non è cosí. Tecnicamente nessuna delle due ha rilevanza informativa se non si ricostruisce il processo generativo e si analizza i flussi di risposta a tali messaggi. Un lavoro già difficile per una banale conversazione telefonica tra conoscenti, s’immagini la dimensione di complessità rispetto a problematiche tra diplomazie di stati. Dovrebbero essere impiegati staff di analisti esperti nei temi oggetto di ogni conversazione dotati di sofisticati package d’analisi testuale tarati sui linguaggi gergali. E tutto questo lavoro da fare da chi potrebbe essere svolto, se non dalle stesse agenzie che si occupano d’intelligence?

Ha quindi senso domandarsi quale sia l’effetto determinato da Wikileaks (che non è un’agenzia d’intelligence fino a prova contraria), dato che la pubblicazione in sé rischia unicamente di aumentare l’entropia e quindi l’irrilevanza dell’informazione, trasformando problemi concreti in questioni umorali (leggi gossip). La conseguenza è la delegittimazione della reputazione dell’attuale governo degli Stati Uniti a livello internazionale. Ne sono riprova le

goffe e grottesche smentite o rettifiche financo giustificazioni di Hillary Clinton ai media internazionali, a prescindere dall’autore, dal medium e dal destinatario dei messaggi incriminati. Tutto ció è politica non più semplice produzione d’informazione. Ed allora se Wikileaks agisce da soggetto politico, conoscere eventuali committenti di Julian Assange, prima di essere una vera notizia, è diventato un dovere del suo fondatore verso l’intero consesso umano.

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