Polizia cinese fa altre quattro vittime nello Xinjiang

PECHINO (corrispondente) – Continua a scorrere il sangue nella provincia autonoma dello Xinjiang. Teatro dei nuovi scontri è stato Tourchi, villaggio nei pressi della città di Korla, dove il 9 marzo, alle prime luci dell’alba le forze dell’ordine cinesi hanno fatto irruzione in una casa di campagna, uccidendo quattro uomini uiguri sospettati di fabbricare una bomba.

Il raid era uno dei tasselli della campagna anti-criminalità volta a “ripristinare la stabilità”, voluta dell’Assemblea nazionale del popolo -sorta di Parlamento alla cinese- che proprio la scorsa settimana ha dato il via alla sua non-stop legislativa della durata di 10 giorni.
A mettere in moto le forze dell’ordine, la notizia del ferimento di un uomo mentre era intento nell’assemblaggio di un ordigno esplosivo; secondo gli agenti, sarebbe stato legato ad un gruppo terroristico sospettato di stare pianificando un attentato nella regione.

Secondo quanto emerso dall’interrogatorio dei 21 sospettati coinvolti nell’operazione, la polizia avrebbe fatto irruzione nella casa uccidendo un ragazzo di 21 anni di nome Nesrullah. Il funzionario responsabile del raid ha dichiarato che i sei uomini inviati in un primo momento hanno richiesto l’aiuto di rinforzi dopo che un aggressore ha tranciato le braccia ad uno dei poliziotti. “Avevamo trovato il covo di Nesrullah e del suo complice, si tratta di una fattoria nel villaggio di Towurchi, vicino alla città di Korla” ha raccontato Ghulamidin Yasin, ufficiale di polizia. “Quando siamo arrivati nella stanza c’erano due donne e otto bambini. Abbiamo chiesto dove fossero gli uomini e loro ci hanno risposto che non erano in casa. Ma dai loro volti si capiva chiaramente che stavano mentendo. Abbiamo circondato il deposito e quando eravamo ormai pronti a fare irruzione, un uomo è uscito fuori brandendo un’ascia e ha tagliato una mano ad uno dei nostri compagni.”
Una volta scoperta la presenza di altri uomini nella casa, alcuni dei quali avevano cominciato a gettare delle bottiglie contro la squadra delle forze dell’ordine, quaranta agenti sono stati chiamati a circondare l’area.

Oltre a Nesrullah, negli scontri sono rimasti vittime Nurmemet, 25 anni, Abdurehim e Abdullah, entrambi più che trentenni. “Abbiamo trovato due archi, alcuni materiali per la fabbricazione di bombe e guantoni da pugilato. Sembrava come se stessero preparando un attacco armato” ha dichiarato Yasin. Thoti Ibraim è il nome dell’uomo rimasto ferito durante la fabbricazione dell’ordigno esplosivo. Ibraim avrebbe giustificato l’accaduto raccontando dell’esplosione di un serbatoio di gas, ma il medico non ci ha creduto ed è venuto subito a raccontarci tutto” ha specificato il funzionario.

Episodi di violenza sono ormai pressoché all’ordine del giorno nello Xinjiang. Lo scorso mese nella città di Kargilik, prefettura di Kashgar, vicino alla frontiera con il Pakistan, nove uomini armati di asce e coltelli hanno ucciso tredici persone prima che la polizia riuscisse ad intervenire aprendo il fuoco. Il bilancio finale degli scontri è stato di 20 vittime; sette freddati dai colpi delle forze dell’ordine, due gli uomini presi in consegna. Ad innescare la miccia fatale sarebbero stati ancora una volta gli attriti tra uiguri -minoranza turcofona e musulmana che copre il 45% della popolazione della regione- e cinesi han, etnia maggioritaria in Cina, ma non nello Xinjiang.

Da anni gli uiguri lamentano la politica dal pugno di ferro messa in atto da Pechino con lo scopo di reprimere la loro identità linguistica e culturale. Allo stesso tempo il governo cinese sta cercando di incrementare la presenza dell’etnia han nella regione concedendo agevolazioni fiscali a chi sia disposto al trasferimento. Oggi la popolazione del Xinjiang si aggira intorno ai 21 milioni di abitanti, di cui 9 milioni uiguri. Indipendenza e la fondazione di un nuovo Stato, il Turkestan Orientale, è quanto richiedono quelli che la leadership cinese definisce “un piccolo gruppo di terroristi e separatisti”.

La situazione nella provincia occidentale dello Xinjiang, negli ultimi anni, è diventata la spada di Damocle di Pechino. Nel luglio 2009 una marcia di protesta della minoranza uigura sfociò in scontri armati, terminando con un bilancio di 184 vittime di cui in buona parte di etnia Han. E sebbene da quel momento i controlli governativi siano stati intensificati, la zona continua ad essere soggetta a sporadici focolai di rivolta.

Restrizioni sulla pratica dell’Islam, molestie per mano della polizia cinese, discriminazioni sul lavoro; sono queste alcune delle gocce che hanno fatto trabboccare il vaso della popolazione turcofona dello Xinjiang, mentre Pechino continua a puntare il dito oltre i confini del Regno di Mezzo. Secondo le autorità cinesi, gli autori degli attacchi terroristici che nel mese di luglio causarono decine di feriti a Hotan e Kashgar avrebbero pianificato le loro mosse in un campo di addestramento situato nel Pakistan; ma nonostante gli addetti ai lavori siano propensi a confermare la natura programmatica delle violenze della scorsa estate, tuttavia hanno anche messo in risalto la scarsa sofisticatezza degli autori. ( armati di coltelli e alla guida di automobili killer ad Hotan, di ordigni primitivi a Kashgar).

Da tempo il governo cinese attribuisce le violenze nello Xinjiang ad un gruppo chiamato Movimento Islamico del Turkestan Orientale il cui leader Abdul Haq al-Turkistani, divenuto nel 2005 membro del consiglio esecutivo di Al Qaeda, è rimasto ucciso durante un attacco in Pakistan lo scorso anno. Il nucleo terroristico del Turkestan avrebbe anche ammesso la responsabilità per l’esplosione di un autobus a Shanghai che nel 2008 costò la vita a tre persone, nonché per una serie di episodi di violenza che hanno colpito le città di Canton e Wenzhou. Voci queste che Pechino non  ha confermato né smentito.

E’ da quel lontano 11 settembre, quando l’attacco alle Torri Gemelle mise in ginocchio gli Stati Uniti, che il pericolo terrorismo perseguita il Dragone. E secondo un recente sondaggio, con oltre 7000 condanne, la Cina ha conquistato la medaglia d’argento nella “caccia al terrorista”, preceduta soltanto dalla Turchia. Ma considerando che nel Regno di Mezzo il termine “terrorista” viene sottoposto ad una dilatazione semantica che finisce per abbracciare anche i seguaci del Dalai Lama e della Fulan Gong, non sono in pochi a ritenere che l’allarme Al Qaeda sia stato spesso utilizzato per colpire le scomode voci del dissenso.

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