Reportage Brasil: São Paulo. Appunti di viaggio non immaginario (4/4)

“Io non sto aspettando di partire. Io sono qui in castigo” esordisce un tizio malmesso, seduto davanti a me nell’enorme sala d’aspetto del terminale degli autobus. È ben pettinato, con la riga da una parte, i baffi in ordine, gli occhiali con la montatura pesante. Sembra arrivato direttamente dagli anni ’50. Accanto a lui una stampella, uno zainetto stracolmo e una busta di plastica  piena di frutta.

Delle bende ingombranti gli spuntano dai calzoni. Non è un mendicante.  Mi dice che ha perso il lavoro (faceva l’operaio in cima ai pali della luce)  a causa di una malattia alle gambe, aggredite, come una pianta rampicante, da un’ulcera che gli fa scoppiare le vene, cadere la pelle, gonfiare i muscoli. È andato dal medico e si dovrebbe operare al più presto, ma siccome non avrà mai i 10.000 reais per farlo (5000 a gamba), rischierà l’amputazione.
Vedovo, con un figlio di 10 anni che ha lasciato al vicino, viene da una piccola cittadina del sud, dallo stato del Paranà. Sembra un catalogo vivente di disgrazie, ma è nella media delle persone che si possono incontrare fuori dai circuiti scintillanti. Uno dei tanti che sembrano essere in debito eterno con la vita, fin dalla nascita.
Ha tentato di trovare lavoro ma in quello stato non ci è riuscito. Dice di avere 55 anni ma ne dimostra venti di più.
Il gigante lo ha rifiutato. Dopo aver annusato la sua disperazione, lo ha gentilmente messo da parte.
Nel suo faticoso girovagare ha finito tutti i soldi e –mi dice- qui non conosce nessuno. Vuole solo tornare a casa ma non ha i soldi per il biglietto del pullman.
Guarda fisso l’atrio e rimane in silenzio. Gli chiedo se ha chiesto aiuto a qualcuno. Sorride.
Racconta che per prima cosa è andato dall’assistente sociale. Hanno preso nota di tutto e gli hanno detto di compilare una domanda e di aspettare 25 giorni (il tempo necessario per ricevere i 75 reais di cui ha bisogno per comprare il biglietto di ritorno, 30 euro circa). Markus ha protestato, “i servizi sociali non sono una banca,  eppoi c’è chi sta molto peggio e ha la precedenza” gli hanno risposto quelli. Naturalmente non si fidano a dargli immediatamente i soldi in mano, potrebbe usarli per stordirsi di pinga o farsi di crack (anche se non sembra certo il tipo) e lui li ha scongiurati di venire con lui a comprare il biglietto e verificare se stesse dicendo la verità. Non c’è stato nulla da fare.
Anche per la disperazione (soprattutto per quella) bisogna aspettare e fare la fila.
Si è rivolto allora alla polizia, ma o delegado (il commissario di turno) dopo averlo ascoltato lo ha messo alla porta dicendogli che lui non faceva l’assistente sociale e che loro pensavano ad arrestare i delinquenti non ad aiutare i barboni. Casomai, se desiderava il loro interessamento, poteva pensare di ammazzare qualcuno.
Markus mi dice che è molto religioso (evangelico) e che prima o poi Dio si ricorderà di lui.
Aspettando che Dio riacquisti la memoria, gli consiglio di rivolgersi alla sua Chiesa. Sorride di nuovo commentando “Ja foi” ci sono già stato. Il pastore che lo ha ricevuto gli ha detto che una chiesa non è una banca, (anche loro…) in compenso gli hanno consigliato di continuare ad avere fede e prima di mandarlo via gli hanno chiesto un contributo per pregare per lui.
Sono quattro giorni quindi che vive qui nella sala d’aspetto della rodoviaria, contando i giorni che lo separano dalla promessa dell’assistente sociale. Dorme seduto, mangia solo la sera quando i vari chioschi del posto chiudono e le cameriere che vi lavorano, invece di buttare o riporre il cibo che è avanzato, gli fanno un pacchetto di straforo (a lui e ad altri zombie che si avvicinano silenziosamente, chiedendo solo con lo sguardo).
Si lava ai bagni pubblici, quando il responsabile si allontana. La ragazza all’ingresso lo fa entrare di soppiatto e lo fa lavare (ma non asciugare perché la tovaglia costa 10 reais…).
È davvero notevole la solidarietà tra poveri…
Per bere non è problema; c’è un bebedouro gratuito.
Dice però che non ce la può fare ad aspettare altri 21 giorni seduto su questi sedili.
Cerco di immaginare cosa possa essere a questo punto per Markus l’attesa.
Una voragine? Un fiume enorme dove non si arriva a vedere la sponda opposta? Una galassia sconosciuta? Un orologio senza numeri?
Arrivano altri disperati, si sistemano come Markus sui sedili e incrociano le braccia. Vedono altri partire. Sono arrivati lì per forza d’inerzia, viaggiatori immobili, senza bagaglio, senza destinazione, senza nessuna meta…

Markus si alza barcollando e va a mettere in carica un cellulare. Glielo aveva regalato la moglie morta da poco, un vecchio nokia comprato in tre rate. Lei è riuscita a pagare solo la prima ed è morta d’infarto. Lui lo mette sotto carica e lo tiene come una reliquia. Mi dice che lo fa perché deve essere tutto a posto, può capitare che lei lo chiami…

Mi parla del razzismo verso i poveri e della vergogna che prova quando chiede a qualcuno del cibo,  poi quasi sussurra “non mi uccido perché dio non vuole, devo avere fede e sopportare o poi non posso lasciare solo mio figlio”.
Sembra sincero.  E anche se ha inventato tutto va bene lo stesso.
Gli metto in mano dei soldi e cerco di convincerlo che presto tornerà a casa. Mi stringe la mano e ci tiene a sottolineare che non è un miserabile, “Nao tive sorte” (non ho avuto fortuna) e prosegue come un mantra “Domani, se le gambe mi reggono, inizio a chiedere a tutti qualche soldo per strada. Devo fare 70 reais per comprare il biglietto di ritorno. Devo tornare da mio figlio… Devo…” e gli vengono gli occhi lucidi.
Chissà se il gigante avrà pieta di lui. Oppure lo schiaccerà come un insetto.

Ripassiamo (sostantivi che sembrano ma non sono):
Academia è palestra
Palestra è seminario
Prefeito è sindaco
Sindico è amministratore del condominio
Massa è pasta
Pasta è cartella
Burro è somaro
Ferramenta è strumento
Pelado è nudo
Prego è chiodo
Capriciar è fare le cose con attenzione
Fica, naturalmente non è quello che stai pensando, ma il presente o l’imperativo del verbo rimanere…

I mendicanti per strada finiscono per somigliare a sacchi della spazzatura e in effetti, nella logica generale, non sono che rifiuti che sono stati abbandonati.
La gran parte di loro è completamente folle e ripete gesti e parole all’infinito. Altri sistemano i loro giacigli di cartone ai lati delle strade e si coprono il volto con uno straccio o con un altro cartone per ripararsi dalla luce e trovare sollievo nell’oblio del sonno. Qualcuno lascia loro del cibo, così come si fa con i cani, ed è già una fortuna per chi sottrae alla morte qualche ora in più.

Nota di colore: i cellulari hanno tutti campo, “prendono” nelle stazioni e nei vagoni della metropolitana durante il tragitto e ancora non ho capito se è un bene o un male…

Televisioni sempre accese in tutti i posti. Nei bar, nei negozi, nelle palestre, nelle stazioni dei taxi. Telegiornali, partite di calcio, novelas.
C’è un canale che si vede solo negli ascensori e uno solo nella metropolitana.
Su tutti Rede Globo. Passata da Grande Fratello a Grande Zia.  Uno di quei parenti che finisci per trovarti sempre tra i piedi e che, anche se insopportabili, alla fine finisci per tollerare.

Novela delle cinque, delle sette, delle nove. Appuntamenti fissi. Il tempo scandito attraverso la narrazione di episodi di storie interminabili. Negli schermi gli attori recitano “da telenovela” vale a dire che la loro recitazione non è né filmica, né teatrale, ma un genere a sé stante e si fatica a comprendere come, dopo decenni, ancora todo o mundo li segua.
La tele-novela, si sa, ripete se stessa secondo uno schema fisso e continua (non si sa per quale mistero) a tenere desta l’audience. Un racconto seriale la cui trama, di puntata in puntata, può evolvere potenzialmente all’infinito.
Il milieu narrativo è basato su faide familiari, tradimenti, ingiustizie, amori contrastati, fughe, agguati e travestimenti, figli illegittimi, conflitti generazionali e di classe.
La psicologia dei personaggi è elementare e c’è una netta bipartizione del Bene e del Male, distribuendo in maniera inequivocabile attributi sociali e personali: la giustizia e l’ingiustizia, la felicità e l’infelicità, l’amore e l’odio.
Il meccanismo, sfocia obbligatoriamente nel lieto fine con una distribuzione di premi ai buoni e di condanne ai cattivi. Il linguaggio usato è pieno di frasi fatte e formule ricorrenti, con un vocabolario basic, alla portata di tutti, ma allo stesso tempo gonfio ed enfatico.
Al di là o meglio al di sotto della loro trama e contenuti, le novelas, per struttura, cadenza e capillarità, possono essere naturalmente dei potentissimi mezzi di condizionamento culturale e sociale. Messaggi, frasi, pubblicità subliminali, allusioni, critiche o altro può essere introdotto in qualsiasi momento all’interno di qualsiasi puntata e messo in bocca al personaggio positivo o negativo che sia, per enfatizzare, demonizzare o sottolineare in maniera indiretta, fatti e situazioni della realtà effettiva. Un piccolo-grande contributo alle teorie di McLuhan.
A proposito, ma Joao sta ancora insieme a Maria Amelia?

Palestre fantascientifiche con grandi vetrate che danno sulla strada così da permettere ai passanti di gettare uno sguardo dentro. Una sorta di pubblicità permanente alla propria attività. A tutte le ore diverse persone corrono -come criceti dentro le ruote nelle loro gabbie- sui tapis roulant, ipnotizzati da diversi schermi posti loro davanti. Sembrano essere i protagonisti di un qualche misterioso esperimento scientifico.

L’Italia è lontanissima e scomparsa nei giornali. Non pervenuta. Le cose sulle quali ci arrovelliamo e appassioniamo, sulle quali ci incazziamo e indigniamo tutti i giorni sono completamente ignote e invisibili. Sembra che qualcuno abbia rovesciato il cannocchiale e invece di vedere le cose da vicino riusciamo a malapena a scorgere dei miseri e confusi abbozzi.
Forse la realtà in sé non esiste davvero. O almeno la nostra.
Basta allontanarsi. Con un aeroplano, con un pallone aerostatico, con una corsetta e il gioco è fatto.

Berlusconi ha finito di far sorridere anche da queste parti. Nei giornali uniche tracce del nostro paese, una dichiarazione di Ruby “non sono una prostituta”, le frodi fiscali di Dolce e Gabbana, le gesta della Curia romana, qualche richiamo ao Milan e a’ Giuventus interessate a qualche talento locale. Per il resto nulla. O meglio quasi nulla. Sul “Sole 24 ore” brasiliano, il Valor Economico, si registra un articolo, decisamente scettico sulla tenuta e credibilità del neo-governo Letta e della nostra classe politica in generale, finendo per mettere in guardia chi avesse la voglia di investire nel nostro paese.

Rimaniamo presenti comunque nel grande immaginario (allo stesso modo nel quale il Brasile è presente nel nostro).
Maestri nella cucina e nella moda (insuperabili), del vivere bene (la dolce vita e il dolce far niente) nel design e nell’arte (vagli a spiegare che non abbiamo più nulla a che fare con i nostri geni e che al massimo siamo usufruttuari di un passato che in pochi davvero capiscono e che stiamo facendo di tutto per oltraggiarlo…).
Tutti sognano prima o poi di fare un viaggio in Italia per vedere da vicino queste meraviglie. Una sorta di Disneyland della bellezza e del lusso che mantiene un suo potere tanto effettivo quanto immaginario. Essere italiani da queste parti è di casa. Gran parte possiede un bisnonno, un nonno, un prozio, uno zio, un avo insomma, italiano.  Tutti tentano, sorridendo ,di regalarti qualche parola in lingua o in dialetto.
Ultime tracce delle nostre ondate di migrazione. Quando eravamo poveri.

In continuazione e soprattutto quando meno te lo aspetti, spuntano dal nulla superbi esercizi di architettura moderna. Palazzi, uffici, musei, hotel e ristoranti. Installazioni e sculture. Pensati per imporsi allo sguardo e impressionare. Poesia concreta di forme e spazi. Scenario ideale della metropoli dove se pensi, lo fai sempre al futuro.

La bocca dell’inferno o almeno l’entrata di uno dei suoi gironi è una stazione della metropolitana.
Pinheiros per essere precisi.  
Lì convergono  e si incrociano diverse linee. Migliaia di persone ogni minuto transitano ininterrotte su passerelle, tapis roulant, scale .  Più che Dorè o Piranesi, sembra di essere  in un disegno  di Escher.
Per prendere un treno bisogna scendere cinque piani attraverso scale mobili che scompaiono verso il basso.
Il flusso è incessante e rapido.  Torrenti di formiche brulicano in due opposte direzioni. Salgono e scendono. Il baratro per una volta non è dentro noi stessi ma solo più giù, a portata di mano.
La punizione prevista è non trovare mai l’uscita.

Gli elicotteri
Provate a chiede a un paulista la ragione di così tanti elicotteri, vi risponderà con malcelato orgoglio che si tratta della seconda flotta (frota) al mondo dopo New York o Tokyo dipendendo dai casi. Pare che nell’ultimo anno siano aumentati del 100% i piloti professionisti e questo basta a dare la misura del fenomeno.
Di norma trasportano esseri che non possono perdere tempo negli spostamenti terrestri rischiando di rimanere intrappolati nel traffico. Naturalmente ci sono anche quelli della polizia e del pronto soccorso, delle televisioni e della protezione civile.
Atterrano sulla sommità dei grattacieli, quasi tutti ormai attrezzati con piattaforme che fungono da eliporti.
Gran parte sono di aziende che se ne servono per trasportare rapidamente i propri manager da un punto all’altro della città, ma sono numerosi anche quelli dei privati.
Una ulteriore divisione, tra chi ha e chi non ha, tra il popolo di sopra e quello di sotto.
Tra chi volteggia in alto e non degna di uno sguardo i dannati che vivono in basso e quelli che dal basso, rassegnati, lanciano appena uno sguardo alla traiettoria di quel rumoroso uccello meccanico che, dopo essersi posato su un nido altissimo, spicca di nuovo il volo scomparendo tra le nuvole e dalla loro immaginazione.

La domenica: il parco Ibirapuera di mattina e lo shopping center di pomeriggio.
“As praias dos Paulistas” “le spiaggie dei paulisti”, dice con sarcasmo e nessuna invidia il carioca.

Scusate, stavo dimenticando la cosa più importante: “O Papa é argentino, mas Deus é brasileiro!”.

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