Genova. Con Doria alla prova la cultura della sinistra

GENOVA – Non sono soltanto i sondaggi, anche il clima che si respira in città fa pensare che per Marco Doria l’unico dubbio sia se sarà sindaco al primo turno o al ballottaggio.

Doria è sostenuto, oltre che dalla lista personale di prammatica, dall’intera coalizione di centrosinistra (mi pare sia da considerarsi superata la beffarda polemica trattino sì – trattino no), quella formato Prodi, per intenderci, compresa quindi, in barba alla foto di Vasto, la Federazione della sinistra.

Come si ricorderà, Doria ha vinto le primarie del centrosinistra, ennesima batosta nazionale per il PD, altra grande città nella quale le primarie venivano vinte da un candidato assolutamente estraneo alla gerarchia piddina. Batosta cercata e meritata. La sindaca in carica, Marta Vincenzi, non era stata automaticamente ricandidata come di solito avviene, nonostante gran parte dei giudizi sul suo operato fossero positivi (non mancavano le critiche, ma è accertata la assoluta impossibilità in politica di un giudizio unanime). Anzi, una parte consistente del PD aveva appoggiato la candidatura di una senatrice, che godeva anche del conforto di autorevoli presenze in città, in primo luogo dell’ex segretario della CGIL nonché ex sindaco di Bologna, trapiantato a Genova per motivi familiari. Modalità impropria, verrebbe da dire, che costrinse comunque la Vincenzi a riproporsi al giudizio delle primarie. Il risultato finale, che segnò una riduzione del numero dei votanti rispetto alla esperienza precedente, fu appunto che la quasi maggioranza assoluta dei consensi andò al candidato Marco Doria, sostenuto da SEL e da un buon numero di associazioni presenti sul territorio, e che la Vincenzi risultò seconda, avendo preceduto nettamente la candidata ufficiale del PD.

Mi soffermo sul risultato delle primarie perché, dato incomparabile con la quantità di intervistati nei sondaggi (al voto parteciparono comunque quasi 25 mila cittadini), offre interessanti spunti di riflessione. Genova, è stato scritto da un autorevole saggista, è una città divisa, nel senso che esistono precise definizioni del tessuto sociale che caratterizzano i suoi quartieri e i suoi diversi territori. Tradizionalmente, a ponente abita prevalentemente, come avremmo detto una volta, il proletariato, a levante la borghesia, che ha al centro, sulle alture di Castelletto, la sua radice aristocratica e culturale. Ebbene, alle primarie Marco Doria, professore universitario, figlio di un noto comunista e lui stesso legato ai valori della cultura marxista, nonché portatore di un cognome che in città dice tutto da solo anche dopo cinquecento anni, ha ottenuto più consensi nel levante e a Castelletto di quanti ne abbia conquistati nel ponente cittadino. Frutto di un capovolgimento della dottrina? Punito dal proletariato perché borghese? No, tornando con difficoltà ad argomentazioni più serie. E’ che, e la vicenda a parer mio è emblematica, la tradizione di sinistra resiste dove c’è cultura e si diluisce e si attenua dove la cultura non c’è o ce ne è rimasta poca. D’altra parte se non fosse così non si comprenderebbero la ferocia con la quale sono state smantellate dalla destra (a volte con il contributo di qualche falso “sinistro”) la scuola e tutte le opzioni culturali del paese; e la distribuzione a mano bassa, attraverso la televisione, di tutto ciò (vedi le varie nefandezze tra amici, isole di famosi e piccoli fratelli) che è istupidimento collettivo.

Credo che sia questa, per la sinistra, la lezione da comprendere. Poco, anzi niente, è stato dedicato a quella che una volta era la formazione politica, quando ti insegnavano che l’amore per un nome e per un simbolo erano la conseguenza della condivisione convinta e arricchita della proposta politica, del programma, della proposta e non un valore in sé, per quanto rispettabile. Forse, in tempi di crisi come questa, che inducono persino alla disperazione, varrebbe la pena di prendere decisioni importanti. Ricordando anche ciò che la storia ci ha insegnato: dalla grande crisi degli anni trenta solo negli Stati Uniti l’uscita è stata a sinistra con Roosevelt (se par troppo, sicuramente democratica), mentre in Europa l’esito tragico è stato il nazifascismo. Facciamone tesoro, almeno della memoria.

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