Bondi-Gelmini: il comune destino di impotenti esecutori di ordini

ROMA – Per comprendere uno degli aspetti del berlusconismo – fra i più significativi del suo modo di essere – non c’è di meglio che esaminare due suoi tristi epigoni, i ministri Sandro Bondi e Maria Stella Gelmini. I due personaggi sono stritolati dalla medesima conformazione: modeste attività professionali prima di entrare in politica e totale accondiscendenza – perinde ac cadaver – ai comandi del loro vero “dominus”: Giulio Tremonti.

Sandro Bondi era senza un lavoro preciso quando entrò, negli anni Ottanta, dopo essere stato estromesso dal Comune di Fucecchio dove aveva occupato lo scranno di primo cittadino per il Pci, nella faraonica proprietà di Arcore, accompagnando il suo amico scultore Pietro Cascella, che doveva sistemare gli ambienti funerari del Cavaliere. Quest’ultimo apprezzò subito in lui la stoffa dell’esecutore attento e spigoloso e lo nominò, seduta stante, responsabile della gestione della corrispondenza privata. Un incarico prestigioso.

Entrato in politica il suo datore di lavoro, Bondi finì per diventare, prima uno dei coordinatori del Pdl, poi addirittura Ministro dei Beni Culturali. Il ruolo che gli si assegna è quello di parafulmine. La politica economica restrittiva (dal lato della spesa) di Tremonti necessita di qualcuno che incassi tutte le parolacce e gli improperi che si merita per il sostanziale abbattimento del settore dei Beni culturali in Italia (arte, cinema, danza, teatro, musica, beni archivistici, oltre all’immenso patrimonio artistico delle città italiane). Lui, ovviamente, si presta senza emettere un fiato. In tre anni di occupazione distratta del Mibac (Bondi, infatti, si occupa più del partito che degli affari pubblici), il Fus (Fondo unico per lo spettacolo), ha incassato la metà dei fondi destinati alle attività culturali rispetto al 2008. Nel 2009 sono diminuiti di 59 milioni di euro (passando da 456 milioni a 397). Nel 2011, Tremonti ha destinato al Fus 258 milioni (- 198 milioni rispetto al 2008). Non solo: ma è di ieri la notizia che, di questi soldi, già insufficienti per gestire al minimo le attività culturali, 27 milioni sono stati congelati, in attesa degli introiti (incerti) che l’Esecutivo incasserà dalla vendita delle frequenze televisive liberate dopo lo switch-off, cioè il passaggio dal segnale televisivo analogico a quello digitale. L’Anac (l’Associazione degli autori cinematografici) commenta: “Quest’ultimo atto è parte di una politica suicida che sta portando l’intero Paese alla rovina”. Con questo ennesimo taglio, gloriosi Istituti, come il Luce, che possiede il più formidabile archivio di storia cinematografica del nostro Paese, andranno in malora.

Bondi, oramai destinato per sua stessa volontà, ad essere sostituito al Mibac da un altro porta-ordini, rimane silenzioso, stretto alla sua Manuela Repetti e oramai senza più difese, come gli argini delle coste in Giappone dopo lo tsunami di ieri.

Un destino altrettanto poco glorioso è quello che caratterizza un’altra berlusconiana di ferro: la ministra dell’istruzione pubblica Maria Stella Gelmini. Assunta al soglio di viale Trastevere nel maggio 2008, con nessuna esperienza se non quella di aver superato l’esame avvocatesco nella accomodante sede di Reggio Calabria (lei è di Leno, provincia di Brescia), una esperienza di Presidente del Consiglio comunale di Desenzano senza grandi clamori, anche lei fu fortunata quanto casuale ospite del domicilio berlusconiano, dove il “dominus” la apprezzò per le stesse doti bondiane: eseguire senza fiatare.

A lei, Tremonti ha affidato l’incarico più difficile: conciliare un taglio “monstre” di oltre 8,5 miliardi di euro alla scuola italiana cercando di convincere gli italiani che erano tutti soldi spesi inutilmente. Il compito, ovviamente, è stato agevolato dal sistema televisivo, nelle mani del padrone, che per almeno due anni ha raccontato agli italiani che il sistema dell’istruzione pubblica, in mano per un quarantennio ai comunisti, si era caratterizzato per le palate di soldi regalati a bidelli, personale amministrativo e insegnanti precari, che invece andavano, loro sì, buttati nella prima discarica disponibile. Ed ecco che la solerte Maria Stella, messo insieme un pool di “cervelli”, ha partorito due riforme “epocali”: quella universitaria (lodata da obnubilati docenti universitari come Luigi Zingales) e quella scolastica, dove sta andando a regime il più grande licenziamento collettivo di personale mai sperimentato nella storia italiana.

La signora di Leno ha svolto il suo incarico molto meglio di Bondi. Sempre sorridente anche se sfuggente (si è sempre rifiutata di partecipare a qualsiasi confronto pubblico con studenti e docenti), ha sfoderato una logica aristotelica, un meccanismo sagace di aporìe formidabili, in base alla quale la scuola acquista in efficienza se ci sono meno insegnanti e più alunni in ogni classe, se si aboliscono le ore di lezione, se in molti edifici cadono tetti e intonaci, se diminuiscono le classi a disposizione, se gli istituti non hanno più risorse per acquistare carta igienica, fotocopiatrici e precari (che per la signora sono, poi, la medesima cosa).

Per il duo Bondi-Gelmini, il mestiere di parafulmine è cosa nobile. Prima o poi si bruceranno – questo è certo – ma lo avranno fatto per la nobile causa tremontiana: mazzolare i deboli, promuovere i ricchi, perché, un giorno, il Regno dei Cieli sarà loro.

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