Istat. 6,3 milioni senza lavoro, cresce la povertà. Un Paese di anziani ed emigranti

ROMA – I giudizi e le attese sulla situazione economica delle famiglie migliorano ad aprile fino a toccare nuovi record.Ieri lo ha comunicato l’Istat nel report sulla fiducia dei consumatori, attirandosi molte critiche sulla veridicità della indagine.

Per l’Istituto di statistica si raggiunge il livello più alto da marzo 2012 e per le attese si sale ai massimi da oltre tre anni. I giudizi sono positivi pure sul bilancio familiare e migliorano le valutazioni sull’opportunità di acquisto di beni durevoli. Peggiorano, invece, i pareri sulle chance di risparmio attuali, ma sono stabili quelli sul futuro.

Certo che a giudicare dai dati che arrivano oggi sulla disoccupazione e sui nonni che sono costretti a mantenere figli e nipoti, sempre pubblicato dall’istituto di statistica, verrebbe proprio da chiedersi quali siano queste famiglie fiduciose. E in quale paese, come ha sottolineato Federconsumatori, siano stati fatti, siano state fatte le interviste.

Nel periodo della crisi raddoppiati i disoccupati

Infatti ad oggi sono ben 6,3 milioni gli italiani che non hanno un posto di lavoro. Un dato preoccupante che emerge sommando i 3 milioni e 205 mila italiani che vorrebbero lavorare ai 3 milioni e 113 mila disoccupati misurati nel 2013. Un numero, quest’ultimo, praticamente raddoppiato dall’inizio della crisi: un milione e 421mila unità in più rispetto al 2008. La crescita dei disoccupati è proseguita anche nell’ultimo anno: a marzo 2014 ha raggiunto quota 3 milioni e 248mila unità. Il calo dell’occupazione, nonostante sia diffuso a qualsiasi livello di istruzione, è più contenuto tra i laureati. La flessione è minore per chi ha conseguito la laurea, passando dal 78,5 per cento del 2008 al 75,7 per cento del 2013. Anche se spesso accade che i laureati accettino lavori meno qualificati rispetto al proprio titolo di studio. Sono in ogni caso i giovani la categoria più colpita: il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) è cresciuto fortemente nel 2013 (+4,5 punti percentuali, toccando il 40%) e l’incidenza della disoccupazione di lunga durata (la quota di disoccupati in cerca di lavoro da più di un anno) è salita al 56,4%. La fiducia delle imprese è scesa a maggio a 86,9 da 88,8 di aprile.

L’azione pubblica complessivamente restrittiva

La bassa dinamica del Pil incide in senso negativo sulla sostenibilità del debito. Occorre “adeguare politiche per favorire la crescita economica di breve e di lungo periodo”, spiega l’Istat. “Tra i Paesi dell’Unione, in Italia è stato registrato nel 2013 l’avanzo fiscale primario (al netto della spesa per interessi) più elevato, superiore al 2% del Pil”, ma, “diversamente da quasi tutti gli altri Paesi, l’azione pubblica negli anni dal 2007 al 2012 è risultata complessivamente restrittiva”.

La povertà e la disuguaglianza di reddito fanno registrare tassi elevati. “Le minori opportunità di occupazione e lo svantaggio retributivo delle donne e dei giovani sono fra le cause più importanti di questa disuguaglianza”. Secondo l’Istat, “nonostante l’intervento pubblico operi una redistribuzione dei redditi di mercato di apprezzabile entità, non inferiore a quella dei Paesi scandinavi, in Italia il livello di diseguaglianza rimane significativo anche dopo l’intervento pubblico. Il sistema pubblico italiano redistribuisce il reddito primario soprattutto a favore del 40% delle famiglie con redditi medio-bassi e bassi, che dopo l’intervento pubblico si ritrovano con un reddito disponibile maggiore del reddito di mercato. Vengono invece ridotti i redditi del restante 60% di famiglie, comprese quelle con redditi medi”.

Cresce la povertà assoluta. Per ridurla servono 15,5 miliardi

L’indicatore di povertà assoluta è salito di ben 2,3 punti percentuali nel 2012, attestandosi all’8% della popolazione. Per ridurlo in maniera “consistente”, servirebbe un intervento da 15,5 miliardi di euro, pari all’1% del Pil. 

Dunque qualsiasi cosa voglia fare il Governo è bene che la faccia subito, perché è già drammaticamente tardi. L’Italia, infatti, è già diventato un paese di anziani e di emigranti: secondo i dati del Rapporto Annuale Istat, le nascite hanno toccato nel 2013 il nuovo minimo storico. In cinque anni nel nostro paese il numero dei nuovi nati è sceso di 64mila unità e secondo la stima, nel 2013 saranno iscritti all’anagrafe 515mila bambini (quindi 12mila in meno rispetto al minimo storico registrato nel 1995).

Si cerca lavoro fuori dai confini. I giovani se ne vanno

Le cifre non sono aiutate neanche dai dati relativi agli immigrati: se nel 2012 gli ingressi sono stati 321mila, il numero è inferiore rispetto al 2007 del 27,7%. A fronte di questa diminuzione, invece, crescono gli stranieri che se ne vanno dal nostro paese (+17,9%) mentre in parallelo aumenta il numero degli italiani che a loro volta tentano la fortuna all’estero (nel 2012 gli emigrati sono stati 68mila: il 36% in più rispetto al 2011, quindi il numero più alto degli ultimi dieci anni).

Si cerca lavoro fuori dai confini italiani soprattutto a causa della crisi: sono in particolare i giovani a lanciarsi in questa nuova avventura. Tra i 15 e i 34 anni sono espatriati in 26mila, quindi in 10mila in più rispetto al 2008. La situazione per le famiglie non è di certo migliore: la fotografia del Rapporto Istat è pessima. Nel 2013, infatti, 3 milioni di famiglie presentano almeno una persona di età compresa tra i 15 e i 64 anni e in cui nessuno abbia occupazione o pensione da lavoro.

 

 

 

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