Chi salverà l’Unità? Intervista al direttore Luca Landò: ‘Internet cambierà la carta’

ROMA – Dopo lo scampato rischio che la storica testata fondata da Antonio Gramsci potesse finire in mano a investitori dichiaratamente di destra si apre qualche spiraglio per il futuro dell’Unità. Ne abbiamo parlato con Luca Landò, direttore responsabile dall’ottobre del 2013, al quale abbiamo chiesto di farci un excursus sulla situazione attuale.

Direttore la domanda chiave è chi salverà l’Unità?

Da quando la testata è entrata in liquidazione sono arrivate varie offerte. Alcune colorite come quelle di Daniela Santanchè il cui obiettivo, nonostante i misteri, potrebbe essere stato quello di aver pubblicizzato la sua attività imprenditoriale che quella politica. Insomma un interessamento probabilmente finalizzato a dare alla sua concessionaria di pubblicità Visibilia, già operativa per il quotidiano Libero,  un’immagine di società a tutto tondo, magari appetibile per far entrare altre quote societarie.

Altre offerte…

Entrando nel concreto esistono altre due offerte, una è l’Editoriale Novanta srl dell’editore Matteo Fago, socio di maggioranza al 51% della Nie, l’attuale casa editrice posta in liquidazione il 12 giugno scorso. E poi un’offerta riconducibile a Pessina Costruzioni, un’azienda edile, capitanata da Massimo Pessina, un imprenditore milanese, il cui nome era girato recentemente come possibile socio Nie, in realtà mai entrato. Ad oggi i liquidatori hanno queste due offerte che dovranno valutare. Tuttavia va detto che vi sono delle differenze tra le due offerte. Quella di Fago, per noi più interessante,  punta a una proposta che rilanci l’Unità. Prima attraverso l’affitto e poi l’acquisto del ramo d’azienda, mentre quella di Pessina, anche se stiamo ancora in attesa di avere maggiori dettagli, riguarda solo l’affitto della testata e quindi del marchio. La filosofia della liquidazione non è soltanto cercare dei soldi per ristrutturare i debiti della Nie, ma fare il possibile perché l’Unita continui ad essere presente in edicola. 

Crede che in qualche modo la crisi dei partiti della sinistra e la crisi dei giornali che la rappresentano siano facce della stessa medaglia?

Non sono convinto di questo, anche perché oggi l’Unità non è più la voce del partito, ma si rivolge al lettore/elettore della sinistra, ovvero il Partito Democratico. La crisi dell’Unità non è una crisi di valori e contenuti della sinistra, bensì una crisi editoriale come sta avvenendo in tutto il mondo. L’editoria globale è in una sorta di  tapis roulant  che sta andando verso il basso per cui anno dopo anno le vendite di copie e la pubblicità calano. Le ragioni di questo epilogo, nonostante i tentativi di invertire le rotte, sono molte a partire dalla mancanza di interesse agli approfondimenti dei giornali cartacei, ma la più convincente che è anche quella che rappresenta la sfida del futuro, è che riusciamo a ricevere le notizie anche senza leggerle. La televisione, la radio, computer tablet e telefonino. Insomma si  ha la sensazione di essere informati, anche se poi non è così. Questo comportamento diffuso  ha di fatto mutato il cosiddetto modo di fare un cartaceo, diventato per forza di cose un vero e proprio strumento di approfondimento delle notizie.

Per questo i giornali stanno cambiando e devono farlo per forza di cose, per sopravvivere. Se poi parliamo di  grandi giornali bisogna mettere in relazione tutti quelli strumenti, come il sito internet, i contributi stranieri, che possano arricchire l’offerta. Detto ciò, io credo che ci sia lo spazio per un giornale di sinistra, soprattutto considerando la crisi economica, nata da politiche di austerità sbagliate, che ha spinto il consumatore a sacrificare la lettura di un giornale diventato un lusso, specie se ricordiamo le abitudini  di un tempo come l’acquisto del giornale ogni mattina.

CarrerCast proprio in questi giorni ha diffuso un rapporto sul lavori in via di estinzione. Tra questi, a causa del calo degli abbonamenti e la contrazione della pubblicità, figurano proprio i giornalisti…

Non sono affatto d’accordo. Per interpretare la fine dei giornali fino a qualche anno fa si faceva ricorso al famoso libro di Vittorio Sabadin, vice direttore de La Stampa, che scrisse ‘L’ultima copia del New York Times’, nel quale sosteneva che l’avvento delle nuove tecnologie avrebbero provocato la sparizione del cartaceo a vantaggio esclusivo del web. Ma non è più così.  Oggi il paradigma è cambiato, perché il web cambierà la carta. Questo è il concetto nuovo. Infatti, non a caso, Jeff Bezos,  fondatore di Amazon, ha acquistato il Washington Post. Insomma si sta cercando di mettere mano nei grandi giornali. 

Per concludere internet è in grade espansione e lo sarà sempre di più. Gli analisti dicono che quello che abbiamo visto finora non è nulla a confronto delle prospettive future. Ma per essere vincente bisogna avere una riconoscibilità in termini di affidabilità. Per cui il giornale di carta mi serve per dare credibilità anche al sito web altrimenti internet diventa un rumore di fondo. Ecco perché anche i grandi guru di internet stanno puntando sui grandi giornali cartacei riconosciuti e riconoscibili in modo che anche lo stesso sito web acquisisca la stessa autorevolezza veicolata dal giornale.

E’ anche probabile che con il tempo i supporti cartacei cambino, pensiamo ai tablet ad esempio, ma la struttura del giornale, ovvero la selezione delle notizie, l’apertura, l’approfondimento, il commento, la gerarchia, questo è lavoro giornalistico e sopravviverà anche al tempo di internet. Anzi, ripeto,  internet non ucciderà la carta, ma la trasformerà. 

 

Condividi sui social

Articoli correlati