Senza Schengen l’Europa non ha futuro

ROMA – Sbaglia chi pensa che Schengen sia solo un trattato sulla libera circolazione delle persone all’interno dell’Unione Europea perché è molto di più.

Schengen è il simbolo più bello, importante e significativo di ciò che dovremmo essere e, purtroppo, ancora non siamo: è un inno alla libertà, all’abbattimento delle frontiere, al futuro di un continente che nel Novecento ha conosciuto guerre e distruzioni e ora vuole guardare al domani con serenità, immaginando orizzonti di pace e costruendo ponti, metaforici e reali, fra culture e religioni differenti.

Per questo indigna, addolora e, in parte, sorprende che a chiederne la sospensione siano paesi fondatori dell’Europa come la Francia e la Germania e grandi democrazie nordiche come Austria, Danimarca, Svezia e Norvegia: stati che abbiamo sempre guardato con ammirazione e preso ad esempio, nazioni cui ci siamo ispirati per valutare il corretto equilibrio del welfare state, modelli di onestà, legalità, efficienza, trasparenza, crescita e sviluppo sostenibile, socialdemocrazie avanzate e capaci di coniugare gli “spiriti animali” del capitalismo con il rispetto dovuto a ogni persona.
Di tutto questo, ormai, non è rimasto quasi nulla. A furia di combattere le ideologie, di negarne il valore, di considerarle retaggi del passato e concetti ormai privi di senso, ci troviamo a combattere contro un mostro inedito come il terrorismo di matrice jihadista senza alcuna arma culturale né politica adeguata.

Dimentichi del Manifesto di Ventotene, in preda a una sorta di millenarismo misto alle fole liberiste sul trionfo dell’individuo egoista avulso dalla società, con un socialismo europeo in crisi d’identità e un’economia che stenta a riprendersi dalla recessione più grave dal dopoguerra, è chiaro che a pagare il prezzo più alto sono i più deboli di entrambi i versanti. Ci rimettono, infatti, i tanti Aylan in fuga dalle macerie della Siria e dell’Iraq, costretti a scappare a bordo di gusci di noce che spesso si rovesciano in mare provocando centinaia di vittime, e ci rimettono gli abitanti delle nostre periferie, resi poveri dalla mancanza di lavoro e dalla privazione di diritti essenziali, dunque incattiviti, egoisti e poco propensi a farsi carico di chi fugge da una miseria e da una disperazione di gran lunga superiore a quella che loro riescono anche solo a immaginare.

Peccato che questa sconfitta culturale, prima ancora che politica, sia alla base della nostra incertezza, delle nostre paure esagerate, della paranoia e della psicosi collettiva che affligge le società occidentali ormai da anni e, di fatto, della vittoria sostanziale della barbarie contro cui ci battiamo, la quale sta progressivamente raggiungendo lo scopo di renderci peggiori, chiudendoci dentro casa, impedendoci di vivere serenamente, costringendoci ad accantonare le ragioni stesse del nostro stare insieme, i nostri simboli di progresso, le nostre conquiste e i princìpi che, nel corso dei decenni, hanno reso quest’angolo del mondo il luogo in cui milioni di persone provenienti dalla fame, dalla povertà e dall’arretratezza dei propri paesi avrebbero voluto vivere.

Se l’Europa dovesse davvero sospendere Schengen, condannandosi di fatto ad accantonarlo per sempre, il Califfo della morte e dell’orrore non avrebbe bisogno di un altro Bataclan o di altri inutili spargimenti di sangue per imporre la propria legge: l’avanzata di forze sconsiderate come il Front National, le frontiere che si chiudono, i muri di filo spinato che si alzano e le proposte aberranti che giungono da nazioni un tempo faro della nostra civiltà come la Danimarca, infatti, sono già la sua vittoria, il segno tangibile del nostro arretramento, la manifestazione di un regresso morale dal quale sarà difficilissimo, forse impossibile, riprendersi.

E dopo Schengen, con il vento che spira da nord a sud, da est a ovest, è evidente che il prossimo obiettivo nel mirino dei nemici dell’Europa è l’euro, ossia lo strumento che, nelle intenzioni dei suoi fautori, avrebbe dovuto favorire la nascita di una cultura, di una mentalità e di una cittadinanza autenticamente europea. 

Cosa sarebbe l’Europa senza Schengen e senza la moneta unica? Un insieme rissoso di piccole patrie disunite e in lotta fra loro, esposte ai marosi di una globalizzazione incontrollata, di una finanza rapace, di una democrazia nazionale non più in grado di essere sostanziale per tutti e in balia del populismo, della xenofobia, del razzismo, della demagogia spicciola e dell’inconsistenza delle forze politiche peggiori, le quali passerebbero all’incasso, esponendo con un ghigno beffardo lo slogan: “Ve l’avevamo detto” e innescando quell’effetto domino che ci trasformerebbe, nell’arco di un decennio, in colonie insignificanti di un capitalismo senza regole.

Per questo le forze progressiste e le giovani generazioni, chiamate ad essere protagoniste del Ventunesimo secolo, devono battersi affinché il nostro avvenire abbia il volto degli Stati Uniti d’Europa e l’ideologia della solidarietà, dell’uguaglianza e della lotta contro tutte le ingiustizie come bandiera.

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