Resistenza. Karol Wojtyla e Adolfo Perugia, intervista esclusiva

In questa intervista-video a Valentina Berdozzi, il partigiano ebreo Adolfo Perugia,  per la prima volta racconta il suo incontro con Karol Wojtyla, testimonianza del dialogo interreligioso

ROMA – Adolfo Perugia è nato nel 1931 a Roma, nella città che, durante la Resistenza, ha contributo a liberare. Palmo a palmo, battaglia dopo battaglia, da Porta San Pancrazio alla Magliana fino alla Basilica di San Paolo fuori le mura. Un certificato del 1938 attesta che lui, primo ebreo d’Italia allontanato delle scuole di ogni ordine e grado a causa delle leggi razziali, è un perseguitato razziale e politico, perché figlio di un funzionario dello stato ebreo e membro del gruppo antifascista “Giustizia e Libertà”. 

Costretto al confino con la sua famiglia nell’isola di Ponza, è poco più che adolescente quando, il 16 ottobre 1943, assiste al rastrellamento degli ebrei al ghetto di Roma. Riesce a salvarsi e a sfuggire ai tedeschi ma, racconta, quella giornata metterà fine alla sua giovinezza. Perché subito dopo quella terribile retata, il signor Perugia decide di unirsi alle formazioni partigiane della città e di combattere con loro la guerra agli occupanti nazisti e fascisti.

La sua Resistenza inizia con i 25 compagni del Fronte della Gioventù Antifascista; Adolfo Perugia imbraccia le armi dopo aver assaltato la caserma della Pai – la Polizia dell’Africa Italiana – e, da quel momento, si spalanca davanti a lui una guerra fratricida, in cui il nemico è sempre all’agguato e la distinzione tra chi combatte con te o contro di te è sottile. 

Sono mesi difficili quelli che il signor Perugia evoca, fatti di battaglie che hanno riempito la sua giovinezza e occupato le pagine dei libri. Ma che, soprattutto, hanno infiammato la memoria della sua città, Roma, che lui presenta come il punto nevralgico della Resistenza, l’epicentro della Liberazione d’Italia. È granitico nel dirlo: Adolfo Perugia ama ripeterlo e sottolinearlo. 

Della sua esperienza da partigiano parla volentieri, convinto che la memoria sia un’ancora di salvezza per rimediare alle derive del presente e sopravvivere a un’epoca in cui sentimento e ideologia si intrecciano. Di una cosa, però, il signor Perugia parla poco (regalandoci una testimonianza preziosa): il suo incontro con Karol Wojtyla, il futuro papa Giovanni Paolo II.

Il primo contatto avviene in Polonia, nel 1951. La guerra è finita da poco e Perugia è a capo di una delegazione di ebrei incaricata di portare il suo omaggio alle vittime del campo di sterminio di Auschwitz. Si sono persi e Perugia si rivolge a quel giovane prete incontrato per caso a Cracovia per chiedere quanto disti da lì quella struttura inumana. È notte e il campo è lontano: per questo ne nasce una serata in compagnia e la proposta di andare a pregare tutti insieme alla Madonna di Czestochowa dopo l’omaggio alle vittime della crudeltà nazista. È un’occasione importantissima e un segnale di pace potente a un mondo che sta ricucendo le sue ferite dopo il conflitto. Perugia accetta: dice di sì alla visita e, dopo la preghiera in comune di fronte alla statua di Maria, lascia al giovane sacerdote il suo numero di telefono. 

Il resto sono telefonate saltuarie e sporadici incontri a Roma finché, la sera del 16 ottobre 1978, quel prete polacco diventa il Papa. Perugia lo omaggia subito, accorso in Vaticano a salutare quel giovane amico salito al soglio pontificio e, otto anni dopo, ne realizza un desiderio importante: andare in visita alla sinagoga di Roma. È il 13 aprile 1986: una data storica, quella, per un momento altissimo di vicinanza e dialogo tra ebrei e cattolici. Un abbraccio denso, che lega indissolubilmente le due sponde del Tevere così come quelle del monoteismo. E un vincolo forte, che unisce – fino alla sua morte, passando per la convalescenza dopo l’episodio dell’attentato in piazza San Pietro – il partigiano e quel prete venuto da lontano. 

Il signor Perugia confessa di non aver mai raccontato a nessuno di questa amicizia perché – spiega – “è una cosa più grande di me”. Ce ne ha parlato – dice – solo in virtù dell’importanza che hanno oggi, in questo mondo caotico e senza radici, la memoria e l’atto del ricordare: elementi decisivi da recuperare in un’epoca di deriva, in cui – spiega il signor Perugia – la “Resistenza continua”. 

Karol Wojtyla  e Adolfo Perugia – Testimonianza raccolta da Valentina Berdozzi

 

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