La scure di Marchionne si abbatte sui lavoratori della Fiat. Schiaffi a “tutti” in barba a regole e dialogo

ROMA – Marchionne “corre solo”. Con un breve quanto arrogante comunicato la Fiat ha annunciato che dal 1° gennaio 2012 verranno applicati i contratti aziendali e non saranno più validi quelli nazionali. Uno schiaffo in piena regola, e questa volta è stato dato a tutti, governo, lavoratori, sindacati, forze politiche e chi più ne ha più ne metta.

Al super AD della Fiat non interessa un tubo sapere chi governa o no, quanto portare avanti una strategia aziendale che porti frutti tangibili che gli permettano di rispettare l’accordo fatto a suo tempo con lo stesso Barack Obama che non sapeva come rilanciare una Chrysler in piena crisi. Per il manager nato a Chieti ma espatriato in Canada all’età di 14 anni, la Fiat non fa più parte ormai di quel “prodotto” italiano tanto caro alla Famiglia Agnelli.  Il cinismo dimostrato anche in questa occasione ne testimonia la veridicità.  Intervistato ieri a Londra, il supermanager italo – canadese che paga le tasse in Svizzera, (trasmissione Report, 27 marzo 2011, ndr.) ha liquidato la “pratica” in questione con una dichiarazione a dir poco allucinante: “L’alleanza con Chrysler ci offre la straordinaria opportunità per affrontare la situazione nei nostri stabilimenti italiani, dove i livelli di produttività sono stati per anni troppo bassi per essere competitivi.  Abbiamo agito in maniera autonoma per eliminare le inefficienze nelle nostre linee di produzione in Italia e assicurare loro un futuro”.   Le domande sorgono spontanee, soprattutto quando non è la prima volta che si scomoda la produttività; Montezemolo se ci sei batti un colpo!  Per cui ci chiediamo semplicemente se la produttività di un’azienda sia frutto di una programmazione manageriale (insufficiente o sbagliata) o diversamente possa essere attribuita e attribuibile ad una responsabilità dei lavoratori. (?)  Nel caso che non sia percorribile la seconda ipotesi, perché dovrebbe essere lo stesso lavoratore a pagarne le conseguenze??  Come risulta evidente non c’è traccia di una riflessione che esca fuori da una logica di profitto, a svantaggio in questo caso di una disumanizzazione del lavoro. La persona diventa un numero, il lavoratore viene ridotto a strumento, depauperato di quel briciolo di umanità che sarebbe necessaria. Da gennaio il diktat di Marchionne imporrà pause ridotte (10 minuti in meno), più turni (18), straordinario aumentato (120 ore obbligatorie, 40 in più dell’attuale) e, soprattutto, una diversa rappresentanza sindacale. Si passerà dalle Rappresentanze sindacali unitarie (Rsu) alle Rsa, ovvero, rappresentanza aziendale. Chissenefrega del contratto nazionale! In base alle singole esigenze aziendali si valuterà il da farsi. 

 

La Fiom è la forza sindacale che maggiormente si è battuta e si batte contro queste politiche aziendali, ma non può certamente (anche se incisiva) essere lasciata sola; la Cgil per bocca di Susanna Camusso non ha lesinato critiche dichiarando che “la Fiat scarica i suoi errori sui lavoratori”. Ma nei fatti occorre una sinergia nell’opporsi a questa presa di posizione imposta da Marchionne. Tra le forze politiche si registrano tante belle parole ma anche molte contraddizioni. Ricordiamo che sul referendum indetto a Pomigliano, il Pd si schierò contro la Fiom, e non è un caso che ancora oggi si assista a due interpretazioni delle quali siamo curiosi di sapere quale sarà quella prevalente, visto che, se da una parte Cesare Damiano parla di “scelta destabilizzante e contraddittoria” (così come Stefano Fassina che rincara chiamandola “preoccupante”) dall’altra, sempre in “casa” Pd, Giorgio Merlo accusa la Fiom di “irriducibile pregiudiziale ideologica”. Lo stesso deputato del Pd individua nella Fiom quella parte sindacale che avversa tutti (da Berlusconi al governo Monti) mostrandosi scettico sul suo ruolo che non migliorerebbe la condizione dei lavoratori e non faciliterebbe la produzione industriale nel nostro paese. Evidentemente l’On. Merlo non ha mai toccato con mano i problemi che sono costretti ad affrontare ogni giorno gli operai della Fiat; oltre, ovviamente, a ragionare da un punto di forza diverso da quello di chi percepisce un salario che è tra i più bassi d’Europa!  In realtà Giorgio Airaudo, segretario nazionale Fiom-Cgil, responsabile auto, risponde semplicemente tirando in ballo il nuovo governo solo per invitarlo a incalzare i vertici Fiat: “La decisione di Fiat non ci stupisce ed è coerente con ciò che Marchionne sta portando avanti.

 

È una scelta politica e tocca alla politica chiederne conto. Il governo Berlusconi non l’ha mai fatto e allora noi chiediamo al governo Monti di fare alla Fiat le stesse domande che ha fatto la Consob e, diversamente da questa, esigere delle risposte”. Non è forse la posizione che sta prendendo forma in diverse forze politiche?  Lo stesso Antonio Di Pietro afferma con chiarezza come “La disdetta di tutti gli accordi sindacali decisa dalla Fiat chiude il cerchio, annunciando di fatto l’abbandono del nostro Paese, individuando nei lavoratori il capro espiatorio”.  Critico anche Pier Ferdinando Casini: “È una cosa che certo non mi fa piacere e mi induce a pensare che probabilmente Marchionne pensa di più all’estero che all’Italia”; duro il giudizio di Nichi Vendola, presidente di Sel: “La violenza del metodo Marchionne è oggi sotto gli occhi di tutti”. Per finire, la dura condanna di Ferrero, segretario del PRC, che parla di “azione eversiva da parte di Fiat, che la pone fuori dalla Costituzione italiana”.  In molti quindi, si aspettano l’intervento del governo Monti; la coesione sociale non si ritrova perseguendo soltanto sterili e rigide politiche aziendali, ma bensì ricollocando il valore del lavoro accompagnato da un rinnovato rispetto del lavoratore, soprattutto come Persona. Ripetiamo qualcosa che più volte abbiamo espresso: oltre ad avere i salari più bassi d’Europa, imponiamo ritmi di lavoro mal conciliabili con il diritto delle Persone a lavorare nelle condizioni migliori. La qualità della vita non può venir meno per una mera esigenza economica.  Il Presidente del Consiglio, appena insediatosi, si è risentito rifiutando prontamente l’etichetta di “uomo dei poteri forti”; e questo forse è l’occasione per dimostrare al paese ciò che afferma. Soprattutto se riuscirà a riprendere quel termine di “equità” che dovrebbe indicargli la strada per una diversa soluzione ad una problematica finora mal gestita che si sta cercando di far ricadere, come sempre del resto, solo sui lavoratori.

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