Il Caimano stritolato fra Dell’Utri e Cosentino

Il “caso Carfagna” e le motivazioni della sentenza contro Dell’Utri evidenziano, se pure ce ne fosse bisogno, lo stato di costrizione irrimediabile del capo del governo, che non può prendere le distanze né dal primo, né dal secondo

ROMA – E così Mara Carfagna, forse la giovane show girl berlusconiana che più ha dovuto sopportare pettegolezzi, lazzi, pruderie persino eccessive, lascerebbe governo e partito perché, oramai, quest’ultimo è una mera congregazione di “affaristi”, in mano a gente come Verdini e Cosentino. Certo, a dispetto della sua avvenenza (sulla quale nessuno ha niente da obiettare), non si può dire che la giovane ministra sia un fulmine e nemmeno la sua giovine età può giustificare il sonno che fino ad ora l’ha pervasa. Che il Pdl fosse il partito degli affari, ogni italiano dotato di normale quoziente intellettivo e, soprattutto, di onestà non solo intellettuale, lo sapeva e che, in alcune zone italiane, come la Campania (in particolare, la provincia casertana) questo partito fosse gestito con metodi discutibili da un uomo per il quale i giudici napoletani avevano chiesto alla Camera dei deputati perfino l’arresto (ovviamente respinto), era cosa acclarata. Ma, evidentemente, fino ad ora, Mara Carfagna aveva ritenuto di poter contenere la bulimia affaristica di Cosentino & C. Evidenziando un’idea di politica lontana anni luce da quella del suo partito e del suo proprietario, Mara ha voluto contrapporsi al tentativo cosentiniano di affidare la gestione dei nuovi termovalorizzatori campani ai suoi ras provinciali Edmondo Cirielli (Salerno) e Luigi Cesaro (Napoli). Sarà sufficiente dire che si tratta di un affare superiore ai 300 milioni di euro per comprendere quali appetiti si siano sviluppati intorno all’affare della “munnezza” campana. Tenendo presente, poi, l’atto di accusa dei pm napoletani contro Cosentino (accusato da numerosi pentiti di essere a disposizione dei boss casalesi), si avrà chiaro a quali ambienti facciano gola gli affari legati alla “munnezza”.

Già in primavera, l’operazione messa in cantiere da Mara e dal suo mèntore Italo Bocchino, di conquistare la presidenza regionale con il loro candidato Stefano Caldoro aveva prodotto buoni frutti. Si sono scoperti, poi, i tentativi della cricca di mettersi di traverso (Cosentino non è mai riuscito a digerire la sua esclusione dalla candidatura), con il falso dossier su Caldoro (accusato di avere frequentazioni sessuali non ortodosse); tutto ciò aveva lasciato sul campo cumuli di macerie. Cosentino, dimessosi forzosamente dalla carica di viceministro, naturalmente non aveva fatto altrettanto per quanto concerneva l’incarico nel partito (coordinatore del Pdl campano), perché è proprio lì che c’è il potere. E con le sue truppe militari (oltre ai ras provinciali, anche alcuni consiglieri regionali, fra i quali un Domenico De Siano che è riuscito ad essere contemporaneamente consigliere comunale, provinciale, regionale e parlamentare) mai avrebbe accettato il decreto dell’ultimo consiglio dei ministri, con il quale si attribuiva esclusivamente al governatore campano (cioè ad un suo nemico mortale)  la competenza per la costruzione e gestione dei due prossimi termovalorizzatori.

Ora, per comprendere il potere che ancora esprime Nicola Cosentino su Silvio Berlusconi, basterà dire che è stato sufficiente che si recasse a Palazzo Grazioli insieme a Mario Landolfi (ex An, ras di Mondragone, rinviato a giudizio per corruzione nell’ambito dell’inchiesta sulla “Eco 4” dei fratelli Orsi, la cui prima udienza si è tenuta l’11 novembre scorso), che puntasse i piedi con il premier, minacciando addirittura di non votare la fiducia al governo insieme alle sue truppe, perché il premier stesso addirittura si rimangiasse un decreto già approvato, riaffidando anche alle province le competenze in materia di termovalorizzatori. È a questo punto che scatta la clamorosa protesta di Mara Carfagna, con la quale Berlusconi si intrattiene telefonicamente su un aereo appena atterrato giovedì, mentre è in corso l’apertura della sessione dei capi di Stato della Nato a Lisbona (vi arriverà con un’ora di ritardo, smentendo che la causa sia stata la telefonata in patria). “Questo oramai è un partito molto diverso da quello delle origini” avrebbe gridato al vento la bella trentenne, “gestito dai Verdini e dai Cosentino”.

L’affare del millennio – i termovalorizzatori – e quello degli anni Ottanta – Dell’Utri e i soldi di Cosa nostra – stanno stritolando il Caimano. Lui non può allontanarsi né dall’uno, né dall’altro, non può smarcarsi dal suo passato e dal suo presente, può forse rinnovare il “predellino”, in un disperato quanto vano tentativo di rinfrescare le pareti, ma le ombre che oramai rischiano di seppellirlo si faranno sempre più lunghe e avvolgenti. Ne dovrebbe trarre qualche conclusione e sparire per sempre dall’orizzonte politico italiano.

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