Se il lavoro non torna a “farsi partito”

La crisi della politica italiana e quella dell’euro, che dopo la giornata di oggi rischia veramente di essere senza ritorno se non c’è un rinsavimento delle classi dirigenti tedesche e del Fondo monetario internazionale, si alimentano a vicenda. Si avvitano tra loro e sembrano gettare il Paese in caduta libera.

Siamo nel pieno di una crisi organica del sistema politico, non dissimile da quella descritta da Max Weber alla vigilia dell’avvento dei fascismi, da cui nessuna forza, di destra o di sinistra che sia, è esente. Gli italiani lo sanno ed è ciò che, se non si danno alternative convincenti, alimenta il grillismo  e riduce ai minimi termini il consenso dei partiti, sia quelli che appoggiano il governo Monti ma anche quelli che lo avversano e che faticano per ragioni diverse a recuperare credibilità.

Il ritorno sulla scena politica di Berlusconi è il segno più clamoroso di questa crisi. Per il Pdl è un atto di disperazione, un boccone amaro per il  gruppo dirigente che nel suo complesso cerca di resistere, ad eccezione del cerchio magico tenuto a busta paga, a questa ipotesi. Sull’altro versante dello schieramento le cose non vanno per il meglio. Il Pd  fa i conti con l’ambiguità del processo politico che ha portato alla sua costituzione. Avrebbe  avuto un senso se fosse diventato quel moderno partito che la borghesia italiana non è stato mai in grado di esprimere. Ma fallito questo obiettivo che Veltroni nel 2008 cercò di perseguire, sia pure con quei tratti di improvvisazione che hanno sempre caratterizzato il suo agire politico, il Pd non è né  carne né pesce. Vorrebbe essere il partito della sinistra riformista ma non è nemmeno in condizione di definirsi tale. E lo scontro sulle unioni gay, esploso in un modo inaspettato in un partito che ha dimostrato di subire tutte le imposizioni del governo in tema di politica economica e sociale senza che nessuno al suo interno battesse ciglio, dimostra come non si può sopravvivere a lungo quando non esiste nemmeno un orizzonte condiviso di valore. Il Pd non ha dunque le risorse per svolgere una funzione coesiva di una coalizione alternativa alla destra. A meno che non si rassegni al sodalizio con Casini e a una riproposizione anche per la prossima legislatura delle politiche praticate oggi dal governo Monti. Ma questa scelta, che non servirebbe nemmeno a arginare la crisi galoppante dell’economia (come l’andamento drammatico della finanza di queste ore dimostra), sarebbe come chiudersi un una cittadella sotto assedio che la cosiddetta “antipolitica”  non tarderebbe a travolgere.

Non c’è dubbio quindi che per chi ha cuore la ricostruzione del centrosinistra, o meglio di una nuova coalizione democratica, la strada indicata da molti sindaci, a cominciare da De Magistris fino ad arrivare ieri Pisapia su “Repubblica”, di un movimento di partecipazione dal basso che veda molteplici attori in campo sia ormai ineludibile. E’ quanto sostiene anche quel segmento significativo dell’intellettualità di sinistra che si è raccolto in Alba, il nuovo movimento politico, che oggi può vantare insieme a Vendola nella veste di Presidente della Puglia il successo conseguito alla Corte costituzionale sulla privatizzazione dei servizi pubblici.

Ma bisogna sapere, tuttavia, che questo aiuterebbe a ridurre il fossato tra cittadini e politica, ma non sarebbe risolutivo della crisi organica che attanaglia il Paese. E’ mia convinzione che se il lavoro non torna a “farsi partito” non potrà prender corpo nessun principio fondativo nuovo di una democrazia all’altezza dei tempi e quindi di una duratura riforma del sistema politico.

 

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