La crisi non è una ”parentesi”. Come pensa Monti

ROMA – Nel corso degli ultimi due giorni Monti è stato al centro di una piccola tempesta mediatica   culminata con una “ punizione”da parte del Pdl che ha mandato sotto il governo su un odg sulla spending review. Il premier si era permesso di dire che se fosse stato ancora al governo Berlusconi lo spread sarebbe arrivato a 1200 punti base. 

In precedenza l’affermazione di Monti che i Parlamenti nazionali siano una palla al piede per i governi che in sede europea dovrebbero pilotare il vecchio continente oltre la crisi dell’euro e dei debiti sovrani di alcuni stati membri ha provocato la reazione indignata dei partiti tedeschi (in particolare dei liberali e dei cristiano-sociali) che si sono erti a difesa della sovranità delle proprie istituzioni rappresentative nazionali. A questi partiti si potrebbe obiettare che la loro reazione apparirebbe sicuramente più limpida se un’eguale sollecitudine essi avessero dimostrato verso le prerogative degli altri parlamenti dei paesi dell’Unione, e soprattutto di quelli in maggiore difficoltà.
Comunque la medesima presa di posizione è stata, indirettamente, oggetto di plauso da parte del Wall Street Journal. L’autorevole organo di stampa americano non lesina lodi all’azione del nostro presidente del consiglio e attribuisce ai partiti italiani, anche a quelli che sostengono il governo, un’azione di freno al perseguimento dell’interesse generale.
E del resto mi pare illuminante la reazione di Monti alle critiche delle forze politiche tedesche. Sarebbero reazioni ispirate, egli afferma, dall’imminenza della campagna elettorale.

Un rovesciamento  dei principi ispiratori delle società moderne

Quel che emerge, dunque, è un rovesciamento radicale dei principi ispiratori delle moderne società. Le istituzioni rappresentative democratiche, proprio perché frutto della volontà dei cittadini espressa attraverso il voto, sono un ostacolo e un fardello per l’interesse generale, che sarebbe perseguibile solo attraverso misure antipopolari e non altrimenti. (Si noti l’ambiguità del termine “antipopolare” che può significare sia “non in grado di suscitare consenso da parte dell’opinione pubblica”, sia “contro il popolo e i suoi interessi”.)
Vi è un fondamento reale alla base degli orientamenti espressi dal presidente del consiglio. Che le istituzioni rappresentative siano da tempo in crisi è sotto gli occhi di tutti. Nel nostro paese poi ciò  ha, come è noto, assunto i caratteri di una vera crisi di sistema politico dagli esiti per tanti aspetti imprevedibili. E la ragione di fondo probabilmente sta nel fatto che, in Europa, sia il mondo del lavoro che la borghesia da tempo non si pensano come “classi generali” e non sono in grado perciò di costituire per questa via la base materiale (come lo sono stati per decenni) di una rappresentanza democratica pienamente legittimata.

Una ispirazione “ ademocratica “ e tecnocratica
Ciò che, sinceramente, mostra di non aver fondamento è che l’ispirazione “ademocratica” e tecnocratica che sembra animare le prese di posizione di Monti possa effettivamente rappresentare gli interessi del paese sia pure collocati in un più ampio contesto europeo. E la ragione al fondo è una sola. Monti è parte di quelle classi dirigenti europee che si stanno dimostrando non all’altezza delle sfide poste dalla crisi. Le misure attorno a cui le classi dirigenti tedesche e quelle degli altri paesi si dividono, con il rischio di paralizzare l’Europa, sono nel loro complesso insufficienti non solo perché sostanzialmente all’interno dell’ideologia liberista e monetarista che costituisce una delle cause della crisi attuale. E come è noto la malattia difficilmente può essere rimedio a se stessa. Ma anche perché scollegate da una qualsiasi visione generale che riguardi il futuro dell’Europa, il suo ruolo nel mondo, gli assetti della sua economia e della società. Qualunque essi siano, oserei dire.
Monti cioè fa parte di una classe dirigente europea che sta affrontando la crisi come se si trattasse di una “parentesi”, sia pure lunga e difficile da affrontare, e non come un tornante della storia dell’umanità e del nostro continente. Le misure di cui si discute servono insomma a “passare la nottata” nella maniera più indolore possibile e perciò risultano tutte parziali e controverse.

Eppure in altre parti del mondo avvengono cose importanti. Su come la Cina stia affrontando la crisi mondiale l’opinione pubblica dei paesi europei ha nozioni lacunose e insufficienti. Nessuno sembra fare attenzione alla svolta epocale che sta avvenendo in America latina con l’ingresso del Venezuela di Chávez nel Mercosur (il mercato comune di quel continente) che può gettare le basi anche per un confronto più aperto e fecondo tra le “due sinistre” sudamericane, quella di filiazione castrista e populista e quella riformista da anni ormai alla guida del Brasile.

L’Europa politica una urgenza drammatica

Qualche giorno fa sul Corriere della Sera Galli della Loggia con grande finezza ha descritto la “terra di nessuno” in cui si trovano i paesi europei, soprattutto quelli più esposti al rischio di un tracollo finanziario. Costretti a una cessione di sovranità in nome di una moneta unica che non è in senso pieno una “moneta” , verso istituzioni che non sono legittimate a esercitare alcun potere sovrano, in nome di che cosa debbono rinunciare al loro assetto costituzionale e alle loro prerogative nazionali?
Come si fa a non vedere che la costruzione dell’Europa politica, di un Parlamento chiamato a legiferare, di un governo federale, di una Banca centrale dotata appieno della potestà in campo monetario ė compito dell’oggi, che riveste sempre più un’urgenza drammatica. E che solo questo può consentire un intervento congiunto sull’economia reale (politiche fiscali comuni, politiche industriali, sostegno alla domanda) che l’unica vera ricetta per affrontare la crisi?
E’ massimalismo questo? Forse, ma l’alternativa rischia di essere la paralisi o il declino.

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