Napolitano, un pasese normale da ricostruire

ROMA – Attorno allo scontro Quirinale-Procura di Palermo si giocano più partite. La prima riguarda il potere delle procure.  Il conflitto di attribuzione affidato da Napolitano alla Corte costituzionale serve a chiarire se le procure abbiano una sorta di mandato largo sovrastante le istituzioni ovvero se devono sottostare ai limiti imposti dalla Carta.

Comunque la si pensi, e chi scrive pensa che abbia ragione Napolitano, non si può non cogliere in questo conflitto la sintesi di quello più vasto non già fra magistratura e politica ma fra procure e  Stato. La seconda partita investe invece il gran mondo giustizialista che questa volta pensa o è costretto pensare di dover far da solo. Finora grazie all’accordo Veltroni-Di Pietro, che fece fuori i socialisti e la sinistra radicale privilegiando l’ex pm, il mondo giustizialista aveva potuto contare su una sorta di lascia passare nella sinistra. Questo atteggiamento è stato frutto della temperie culturale e politica dei primi anni Novanta quando il nuovismo post-Pci si coniugò con il furore  anti-socialista e con la discesa in campo delle procure come attori del cambio di sistema. L’antiberlusconismo ha fatto da collante e ha dato durata a questo strano matrimonio che ormai sembra in crisi profonda. La separazione, come sempre accade, lascerà tracce e ferite e complicherà la vita di alcune organizzazioni, in primo luogo quella sindacale nella sua ala più radicale rappresentata dalla Fiom. Tuttavia, anche per la irruenza e l’irriducibilità del grillismo, sinistra e giustizialisti sembrano destinati a marciare separati e a colpirsi l’uno con l’altro.

 

Questo divorzio, ed è la terza partita, investe anche il mondo etico-politico dominato in questi anni dal dibattito degli intellettuali più radicali e guidato dal gruppo “La Repubblica”. La discesa in campo a favore di Napolitano e contraria a Ingroia di Eugenio Scalfari ha segnato una frattura gigantesca nel mondo che fa capo all’impero editoriale di Carlo De Benedetti. L’ultimo scontro ha visto contrapporsi Zagrebelsky, presidente emerito della Corte e firma del quotidiano, e il fondatore del giornale di largo Fochetti che accusa ormai esplicitamente i suoi contraddittori di voler stravolgere le regole della repubblica. Va anche segnalata un’altra presa di posizione assai dura verso Zagrebelsky apparsa sul “Corriere” a firma di Valerio Onida, anche lui emerito della Corte, che giustamente ha sostenuto che nel caso delle intercettazioni e della presunta trattativa se questa è avvenuta il reato è di competenza del tribunale dei ministri, se non è avvenuta siamo di fronte al dilagare senza limiti di una procura in debito di ossigeno. La crisi nel mondo culturale già dominato da “Repubblica” indica, inoltre, non solo l’emergere di un conflitto fra il giornale diretto da Ezio Mauro e quello guidato da Padellaro-Travaglio, ma anche l’esaurimento di un movimento culturale che prese avvio con i girotondi e che oggi deve fare i conti con il post-berlusconismo e l’emergere delle tematiche severe della crisi economica. Insomma non è solo la politica a dover riaprire i propri cantieri, anche il mondo intellettuale  cerca la propria strada e se una parte vuole affidarsi all’estremo tentativo di Napolitano di ricostruire le basi di un paese normale, un’altra sembra attratta dalle spinte palingenetiche affidate all’opera salvifica di alcuni magistrati. C’era un tempo in cui i magistrati erano bravi investigatori e giuristi insigni e di politica si occupavano assai poco. Quel tempo è finito con Falcone. Peccato.

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