Centrodestra. Le primarie degli equivoci

ROMA – Lo spettacolo vero deve ancora venire si chiama: Primarie del centro destra., per ora undici candidati, una squadra  di calcio. Daniela Santanchè, l’amazzone del Cavaliere, con l’aiuto del già portavoce di D’Alema Rondolino, coprirà il ruolo di rottamatrice del centro destra?

Alfano dirà che il popolo della libertà non sarà più cesarista, ma democratico, popolare e naturalmente anticomunista? Cosa proporrà Giampiero Samorì, nuovo milionario che vuole fare politica per meriti divini, con un piede nel paradiso fiscale dell’isola di Curacao, ambasciatore in Francia per la Repubblica di San Marino e con  in tasca un bel passaporto diplomatico che gli permette immunità. Esiste e come l’evoluzione della specie del candidato politico che viene dalla società civile. Proclamerà meno fisco per chi ha, e chi non ha può pure rimanere come sta, ma con libertà di sognare? Quanto dileggio, prese in giro sono arrivate dal centro destra negli anni scorsi sulle primarie praticate dal centro sinistra. Certo era l’era in cui il Cavaliere la faceva da padrone.  Kim il-sung di Arcore, il “Grande Leader”,  nei cuori del popolo della libertà  come “eterno e amato Presidente”.

E’ naturale che quando un partito ha capi forti, non ha bisogno di primarie. Ne necessitano i partiti “leggeri” che hanno operato fusioni difficili e che vogliono  tempo perché si costituisca un’ amalgama solida. Il partito democratico appunto. Il primo e il più importante esempio di elezione primaria nazionale si è svolta il 16 ottobre del 2006 , quando l’Unione  (nata nel 2005 dalla coalizione dei partiti del centro-sinistra italiano)  propose agli elettori di scegliere il candidato alla Presidenza del Consiglio per le elezioni politiche. Vinse Romano Prodi, che poi conquistò la presidenza del consiglio e formò il suo secondo governo. Rimase  in carica solo fino al 7 maggio 2008. Durò poco, l’amalgama non resse. Comunque quelle furono primarie dall’esito scontato. L’unico dato politico rilevante fu la partecipazione in massa al voto. L’evento fu deriso dal centro destra che s’impegnò a dimostrare che era falsa la partecipazione di oltre tre milioni di persone. Nel 2007  e nel 2009 il PD votò per eleggere il segretario del PD, ma vi furono anche molte altre primarie assai dure per nominare sindaci e governatori dall’esito in certo. Nel 2007 s’impose Veltroni, che si dimise ben presto (l’amalgama continuava a non fare effetto) e nel 2009 Bersani. Oggi, nel 2012 abbiamo forse le prime vere e proprie primarie per nominare l’eventuale presidente del Consiglio. Bersani ha accettato la sfida di Matteo Renzi, poteva anche non farlo in quanto lo statuto del PD prevede che il segretario del partito eletto con le primarie è anche il candidato alla presidenza del consiglio. Ha mostrato, invece, di non essere legato alla poltrona. Accettando la sfida di Renzi  ha  affrontato l’onda montante di un’antipolitica che assume molte e diverse forme. Non è un caso che molti leader stanno togliendo dai loro simboli il proprio nome: Casini presidente, Di Pietro presidente, Bossi presidente e forse, fra non molto, non vedremo nemmeno  Berlusconi Presidente. Non va sottovalutata la lotta che si sta sviluppando nel PDL tra chi come Berlusconi pensa ancora di ripercorrere strade vecchie cercando nel cilindro chi potrebbe sostituirlo (lui ovviamente pensa sempre di stare dietro le quinte a tirare i fili) e chi come Alfano che ha capito la necessità di cambiare musica e punta sulle primarie. Ma ci vuole tempo e pazienza perché il tutto si amalgami bene.

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