Epifani, spunta il suo nome per la guida del Pd

ROMA – Quando si riunirà l’Assemblea nazionale del Pd, sabato 4 maggio, i nodi per formare il governo dovrebbero, forse, essere stati sciolti e Enrico Letta già a Palazzo Chigi.  Se così fosse, ma ancora non vi è certezza, è’ auspicabile che in un clima meno rovente,meno rissoso, di quello che le cronache hanno raccontato, questo organismo del partito affronti il futuro con l’obiettivo della  rinascita del Pd, un partito da rifondare a partire dai basamenti.

Cosa non di poco conto: non c’è più una guida del partito,si deve definire la data del Congresso, aprire un dibattito in tutti i circoli e nei territori, come viene richiesto a gran voce.  Ragionevolmente il congresso non si può tenere prima del mese di ottobre,tanto il   confronto, deve andare in profondità. Per fare questo percorso che immaginiamo accidentato, pensiamo, ci sia bisogno di una guida del partito che abbia pieni poteri. Non  una “reggenza” in cui ogni corrente ha la sua rappresentanza. La discussione è in corso.

Il potere devastante delle correnti

 Ci permettiamo un suggerimento:  se decidono le correnti vuol dire che il Pd non vuole rinascere. Solo vivacchiare finché  morte non sopravvenga. Leggiamo , l’Unità di solito è ben informata, che per il “dopo-Bersani, Epifani è in pole”. L’ex segretario generale della Cgil, oggi parlamentare del Pd, fra i fondatori di “Laboratorio politico per la sinistra”, una associazione “ con il Pd e nel Pd “ che si richiama ai valori del socialismo europeo, dell’ecologia e dell’ambientalismo, del solidarismo, dicono negli ambienti del partito, è “cresciuto molto”. I dirigenti della Confederazione di Corso d’Italia, a differenza del passato, nel loro percorso sindacale si tengono alla larga da correnti e fazioni. Questa , Per Epifani, può essere la carta vincente, assicurando al partito una guida fuori dalla mischia. L’Assemblea è una cartina di tornasole. Ci dirà quale è il senso di marcia.

Un dissenso molto forte sulle scelte fatte dal partito

 Certo  non potrà far finta di niente, come se quanto è successo possa essere cancellato con un tratto di penna, nel caso, con qualche intervento e, come si dice,un serrato dibattito quando si vuole indicare che la miccia era accesa e l’esplosione possibile. Il pericolo  della scissione, se mai vi era stato,  sembra comunque essersi allontanato anche se il dissenso sulla scelte fatte dal Pd, il governo  di cui non c’è definizione possibile, uno lo tira dove meglio gli aggrada, resta molto forte e coinvolge circoli, territori. Non è un belvedere dopo aver fatto la campagna elettorale e anche nei giorni seguenti, cinquanta e più, sostenere che non è possibile un governo con il Pdl e poi vedere in diretta tv il vicesegretario del partito impegnato in una difficile operazione politica con il Pdl, in seguito all’incarico a lui dato dal Presidente della Repubblica, quella appunto di dar vita, se possibile ,ad una alleanza  con l’avversario di sempre. Per di più con la rottura della coalizione di centrosinistra, costruita con grande fatica e impegno.  In un paese normale quando nessuno ha i voti per governare da solo sarebbe una cosa normale, appunto, da noi no perché questo avversario porta il nome di Berlusconi , un nome e una politica che hanno devastato il Paese, lo hanno ridotto al lumicino. Non solo , ne hanno provocato il degrado morale e culturale.

Chi dei suoi mal è cagion ,pianga se stesso

 Questo è lo scenario della Assemblea che dovrà leccarsi le ferite e recitare il mea culpa. Perché non è normale che 101 parlamentari nel segreto dell’urna non votino il candidato Presidente della Repubblica che si chiama Romano prodi, non l’ultimo che passa, ma il fondatore dell’Ulivo. C’è anche chi dice che siano stati di  più, perché una ventina di “grillini” Prodi lo avrebbero votato. Verrebbe voglia di dire, come recita il vecchio proverbio, “ chi dei suoi mal è cagion, pianga se stesso”, un saggio ammonimento nei confronti di colui o coloro che hanno prodotto il danno. E  qui il danno enorme. Quando un partito vede le dimissioni del segretario , del presidente, della segretaria,la crisi  non si può mascherare. Così come la decapitazione del Partito a partire da Bersani, non nasce per caso. Ma dal fatto che correnti,fazioni, clientele  annidati nel Pd, lo hanno sconquassato come peggio non potevano, scegliendo come terreno di scontro definitivo l’elezione del Presidente della Repubblica

L’obiettivo dei franchi tiratori era Bersani

 I tanti franchi tiratori non ce l’avevano con Marini o Prodi, non hanno votato contro di loro. Ha detto Stefano Fassina che se fosse stato indicato il nome di Rodotà non avrebbe avuto i voti necessari per essere eletto. E ce da crederci. L’obiettivo era Bersani, la linea della fermezza, gli otto punti, il tentativo del governo di minoranza, la pressione esercitata nei confronti dei grillino. Tutto approvato all’unanimità da parte della Direzione, Così come con un grande applauso e voto unanime era stato approvata la candidatura di Prodi. Tutto questo resterà nella storia, difficile, travagliata, dal Pci al Pds ai Ds  diventano Pd. Ma oggi  è cronaca che brucia la pelle. Se l’Assemblea nazionale eviterà ulteriori scottature sarà già un risultato.

Condividi sui social

Articoli correlati