Il Pd per unire forze progressiste e democratiche

ROMA – Le elezioni amministrative del maggio 2013 verranno ricordate per il crollo della partecipazione elettorale con la percentuale dei votanti ferma al 60,5%, in forte calo rispetto alle già desolate elezioni politiche di febbraio 2013: -15,6%.

In termini assoluti l’astensione colpisce tutti e tre i principali partiti PD, PDL e M5S, come giustamente rilevato dall’Istituto Cattaneo, il che ha dato spazio a un’interpretazione semplicistica secondo la quale ha vinto l’astensione e hanno perso tutti gli altri. Non  è così. Certamente l’astensionismo ci ricorda che permane una gravissima crisi di fiducia nei confronti della politica. Anche il comico è messo al pari degli altri che lui vorrebbe eliminare.
 Se, poi, spostiamo l’attenzione sulle coalizioni non è difficile notare una forte adesione al bipolarismo che attiva, con una forza attrattiva, sia il centrodestra che il centrosinistra e schiaccia il movimento di Grillo rilegandolo in una posizione di marginalità, fuori da ogni ballottaggio e più generalmente “mai in partita”. Non basta. Centrodestra e centrosinistra non hanno avuto un risultato equivalente. Il confronto con le elezioni politiche di febbraio va letto per il PDL in termini di conferma del tonfo di consensi e il suo alleato più prezioso, la Lega Nord, continua la caduta libera scendendo in tutta la Lombardia al di sotto del 10%. Il crollo si estende anche al Veneto dove con il traino della candidata sindaco Dal Lago, a Vicenza, non riesce ad arrivare al 5%.
L’osservato speciale di queste elezioni era però il centrosinistra, con le sue contraddizioni, con il PD al governo col PDL e SEL all’opposizione.
L’atteso crollo del PD non c’è stato. La perdita di voti assoluti è grave e in linea con il fenomeno dell’astensionismo e va considerata alla luce dei buoni risultati delle liste civiche a sostegno dei candidati che ovviamente drenano voti ai partiti tradizionali. Non era affatto detto  che sarebbe andata così. Il voto era un test importante perché dopo il male che il PD si era fatto sull’elezione del Presidente della Repubblica e, poi, con la difficile assunzione di responsabilità con l’appoggio al governo di necessità Letta, la tenuta elettorale non era certo scontata. La presenza di candidati seri, capaci e onesti certamente è stata decisiva.  

La vicenda del governo nazionale, con la mancata formazione di un governo di cambiamento proposta dal PD e rifiutata dal M5S, è ricaduta pesantemente sul movimento di Grillo sia pagando lo scotto del ruolo di irrilevanza politica che si è scelto a livello nazionale, sia, non meno importante, per una rappresentanza politica selezionata con metodi discutibili e rivelatasi non all’altezza della prova.
Il PD si conferma una forza centrale per il cambiamento e in grado di unire attorno a se forze progressiste e democratiche, con le quali ha già vinto in 5 capoluoghi ed è in vantaggio in tutti quelli al ballottaggio. Una grande forza coalizionale di centrosinistra da non gettare via in nome di una vocazione maggioritaria foriera di grandi soddisfazioni per il campo avversario e di  sconfitte per il proprio.
Basta questo al PD e all’Italia? Certamente no. L’astensione che con prepotenza si è imposta in queste elezioni deve bruciare sulla pelle, deve spingere il PD e il centrosinistra a moltiplicare gli sforzi per recuperare un rapporto diretto con i cittadini, prima ancora che con gli elettori. Deve aprirsi alle istanze di rinnovamento che arrivano dal basso e deve rivoluzionare i canali di comunicazione con quanti, pur interessati alla vita politica del paese, non riescono ad avere voce. I segnali incoraggianti sono molti, a patto che si imbocchi con decisione la strada della democrazia partecipativa che riporti i cittadini ad interessarsi di politica. La partecipazione al voto ne è una naturale conseguenza.

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