L’“ambizione smisurata” che induce a sbagliare

ROMA – Come abbiamo sempre scritto, il vero avversario di Renzi è Renzi stesso. E ieri, seguendo la drammatica, per non dire devastante, direzione del PD, ne abbiamo avuto la conferma. A fornircela è stato lui stesso, ribadendo, vantandosene, il fatto di essere animato da un’“ambizione smisurata”, di non essere disposto a fermarsi davanti a nulla e a nessuno e di perseguire il proprio progetto anche a costo di sfiduciare apertamente un esponente del partito di cui è segretario, incurante della rivolta che si è nuovamente scatenata sul web e della ferma contrarietà della base a questa decisione.

Peccato che a metterlo in guardia, stavolta, non sia solo qualche povero militante, oramai disilluso e sfiduciato, assuefatto alle larghe intese e prossimo a riconsegnare la tessera e rifugiarsi nell’astensione o nel voto di sfogo a Grillo, ma l’autorevole “Financial Times” (lo stesso quotidiano che ha pubblicato una parte degli “scoop” di Friedman, per intenderci), il quale ha scritto: “Se questi sono i metodi che il sindaco di Firenze, trionfatore delle primarie, considera adatti a spianargli la strada verso Palazzo Chigi, è ragionevole supporre che prima o poi possano essere utilizzati contro di lui”. Peccato che, se e quando ciò dovesse accadere, a rimetterci non sarebbe solo il PD ma l’intero Paese: un Paese sfibrato, attanagliato da una crisi apparentemente senza sbocco, costretto a fare i conti con dei vincoli europei che non svaniranno certo perché è arrivato un Presidente del Consiglio più giovane e dinamico ma, soprattutto, in preda a una crisi istituzionale e di credibilità internazionale senza precedenti, con la Borsa in perenne altalena, lo spread che va su e giù, la disperazione sociale in aumento, una disoccupazione al diapason, una pressione fiscale oltre il limite di guardia e uno sfarinamento dei partiti, dei sindacati e del loro tessuto democratico senza eguali in Occidente. Davvero si illudono, Renzi e i suoi sostenitori, di possedere la bacchetta magica?

Davvero credono che basti cambiare il nome del pilota per far ripartire il motore di una macchina imballata e ormai ferma da almeno un decennio? Davvero credono che basti saper usare i social network ed essere abili nel comunicare per varare quelle riforme indispensabili di cui tutti parlano ma che nessuno, a parte Prodi e Letta, ha mai davvero provato a realizzare? E, soprattutto, davvero si illude Renzi di poter riuscire in chissà quali miracoli dovendo fronteggiare non solo tutti i problemi prima menzionati ma anche le insidie derivanti da una maggioranza parlamentare bizzarra e più eterogenea che mai, da gruppi del PD fondamentalmente ostili e pronti a crocifiggerlo alla prima occasione e da un alleato per le riforme, tal Berlusconi, che ha sempre fatto saltare le trattative di cui inizialmente si era detto un convinto sostenitore? Senza contare che Renzi dovrà fornire risposte concrete e convincenti in particolare a quei quasi due milioni di elettori, fra cui moltissimi democratici, che lo scorso 8 dicembre si erano affidati a lui in nome della promessa di sconfiggere finalmente Berlusconi nelle urne. Cosa dirà loro? Come risponderà all’atto pratico alla loro immensa, e comprensibile, volontà di cambiamento, di rinnovamento, di onestà, di pulizia e di limpidezza? Come farà a fugare da sé i sospetti, a dire il vero sempre più numerosi, che non sia anche lui un uomo d’apparato, un esponente di quell’establishment che ha condotto l’Italia sull’orlo del baratro e, soprattutto, che questa non sia altro che una manovra di palazzo per arrivare al potere: oggetto ammaliante e pericolosissimo dal quale proprio Letta, secondo indiscrezioni non confermate, pare che lo abbia definito “ossessionato”?

Come farà un uomo solo, con addosso una pressione che sfiancherebbe un elefante, a giocare contemporaneamente su due tavoli diversi e in contrasto fra loro: il governo con Alfano e il Nuovo Centrodestra e le riforme costituzionali con Berlusconi? Ma, più che mai, come fa questo giovane sindaco, smisuratamente ambizioso, dannatamente comunicativo ma anche, oggettivamente, troppo inesperto dei palazzi romani, dei loro meccanismi e delle spire avvolgenti che ti si chiudono addosso non appena vi entri dentro, come fa, ci chiediamo, a non rendersi conto di aver esagerato, di essere andato oltre, di star credendo in se stesso e nei propri mezzi più di quanto sia lecito per qualunque essere umano, compresi i più geniali e brillanti? Perché va bene Robert Frost e la rievocazione della Camelot kennedyana, ma Kennedy le elezioni le aveva vinte, sia pur di poco, ma le aveva vinte, Renzi no.

E poi Kennedy promise e iniziò ad attuare un programma che voleva spalancare, all’America e al mondo, le porte della “Nuova Frontiera”; non aveva davanti a sé la prospettiva di governare con Alfano e Monti e, magari, qualche dissidente del Movimento 5 Stelle, attratto dalla mitica novità renziana e dal suo linguaggio popolare e in sintonia col “Paese reale”. Quanto alla promessa di arrivare fino al 2018, questa è una storiella che può andar bene per convincere quei parlamentari che temono di non essere ricandidati e vogliono conservare ad ogni costo il loro lauto stipendio, arrivando persino a credere a ciò che sanno benissimo essere impossibile, ma a noi non ce la racconta. Se va bene, questo strampalato governo Renzi potrà arrivare alla primavera del 2015, poi si tornerà alle urne, per il semplice motivo che non potrà che rendersi impopolare, continuando a basarsi su equilibri invisi ai cittadini e insostenibili dal punto di vista umano e politico. Peccato che, a quel punto, il centrosinistra avrà bruciato sia Letta che Renzi mentre Berlusconi, scontata la condanna per frode fiscale, potrà presentarsi agli elettori fresco come una rosa, magari esibendo l’immagine innovativa e rampante della figlia Marina, e naturalmente stravincerà, infischiandosene della soglia d’accesso prevista dall’Italicum e infliggendo al PD la disfatta definitiva. E lo stesso vale per Grillo che, con un’aggressiva campagna da sinistra, strapperà al PD non meno di un milione di voti, trasformando la disfatta in catastrofe. E allora, forse, qualcuno si fermerà a riflettere sul fatto che, se finora nessuno ha mai affidato la guida del Paese a un trentanovenne, non è perché odiamo i giovani ma perché ci rendiamo conto che per ricoprire un ruolo così delicato bisogna aver superato la stagione delle “ambizioni smisurate”. Roberto Bertoni

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