Pace e bene a tutti. Perché è Pasqua

ROMA – “Pace e bene a tutti”.  Padre Mariano, al secolo Paolo Roseanda, un frate cappuccino  negli anni cinquanta concludeva così le sue trasmissioni radiofoniche e televisive. Lo facciamo nostro perché ce n’è  bisogno.

Di pace e bene  si sono perse le tracce.  La pace  non c’è, ma facciamo finta che ci sia. Non guardiamo più in là dei nostri occhi. Siamo contenti, e non potremmo non esserlo, perché l’Europa non è stata più devastata dalle guerre, che i Paesi che contano vivono in pace. Certo se possono farsi uno sgambetto se lo fanno, altro è la guerra.

La sofferenza  di milioni di persone. Si muore di guerre e di fame

Ma, ci chiediamo, è vera pace quella che vede milioni di persone che non hanno cibo sufficiente, che muoiono per mancanza di medicinali, milioni di bambini ridotti a scheletri, la fame che distrugge intere popolazioni. E se  ce ne fosse bisogno  in tanti paesi di questo mondo le guerre sono all’ordine del giorno. Teniamo tutto questo lontano dalla nostra mente, facciamo finta di niente, è già tanto se ci occupiamo di casa nostra. Ma questo è il problema. Proprio nel mondo globalizzato tutto si tiene. Noi europei non possiamo pensare di risolvere i nostri problemi chiudendoci in casa nostra, al più cercando di rafforzare il rapporto con  gli Stati  Uniti, con i paesi emergenti. Una volta c’era la parola socialismo ad unificare l’azione politica, la questione internazionale  era, anche nel nostro Paese all’ordine del giorno. Ora rischia di diventare una parola vuota. Ma è qui che si gioca la partita. E’ quei che la sinistra può e deve ritrovare  la sua identità. Non guardando all’indietro, ma aprendo nuovi spazi di lotta nei Paesi che contano, offrendo prospettive a chi ancora non conosce neppure la parola democrazia, alle vittime di lotte tribali, di tiranni che spadroneggiano in tanti Paesi, anche a noi vicini. 

Lavoro, libertà, solidarietà, fratellanza, uguaglianza

La pace, quella vera, che si coniuga con la solidarietà, la fratellanza, la libertà, la dignità del lavoro o torna ad essere il sillabario per tutte le forze di progresso  oppure  il futuro non ci porterà niente di buono.  Se le politiche liberiste, conservatrici, non verranno sconfitte, se organismi come il Fondo monetario,  altri organismo che rappresentano “l’aristocrazia” del capitalismo mondiale, in Europa le strutture della Ue, continueranno a  dettar legge non ci sarà pace vera. Ed è sbagliato per quanto riguarda il nostro vecchio continente dare tutte le colpe ai burocrati che siedono a Bruxelles e sperare che con le prossime elezioni la situazione possa essere ribaltata. Quei burocrati sono veri e propri politici, esponenti della conservazione  illuminata o meno, fanno capo al Partito popolare  europeo, possono essere sconfitti. 

Il ruolo e le responsabilità del Partito socialista europeo

Se il Partito socialista europeo, con Martin Schulz, vincerà le prossime elezioni, se altre forze di sinistra, a partire dalla lista che fa capo a Tsipras,sapranno trovare le necessarie intese pi può  aprire la strada a politiche di rinnovamento. Se la destre  populiste, razziste, neofasciste saranno isolate, comunque le sinistra europee ne hanno del cammino da fare. Per quanto ci riguarda non basta chiedere alla Commissione Ue un anno di tempo per metterci in regola con il bilancio. Non basta che Matteo Renzi esulti perché ha mantenuto l’impegno degli ottanta euro da distribuire ai lavoratori  il cui reddito va da ottomila euro lordi a 24 mila e che definisca questa misura di sinistra. Certo qualche euro in più in busta paga non è disprezzabile anche se proprio chi sta peggio, gli “ultimi” quelli che non hanno reddito sono rimasti esclusi, così come milioni di pensionati il cui assegno non supera cinquecento euro mensili o le partite Iva. Così come  i tagli agli alti stipendi  possono servire a far inghiottire bocconi amari a chi non ce la  fa ad arrivare alla fine del mese. Se mettiamo insieme i due provvedimenti, gli ottanta euro e i tagli, si può dire che Renzi abbia azzeccato la mossa giusta proprio in vista delle elezioni. 

Riforme istituzionali e Def: non ci siamo. I nodi vengono al pettine

Ma finita la festa i problemi restano tutti in piedi. Si chiamano riforme, legge elettorale, Senato Titolo Quinto della Costituzione, e  Def, la vecchia finanziaria. Sono la cartina di tornasole se, come piace  dire a Renzi, l’Italia cambia verso. E se il nostro paese con le sue scelte economiche istituzionali dà un contributo  reale alla battaglia che le forze socialiste europee, di sinistra, devono ingaggiare, se ne hanno la voglia e la capacità. Ad oggi il premier, segretario anche del  Pd che i sondaggi, per quel che valgono danno sopra il 30%, qualcuno  al  35%, con i n provvedimenti adottati in materia non ha dato segnali in questa  direzione. Anzi uno l’ha dato: ha rispolverato Berlusconi che ora si erge a padre della patria, ancor prima di prendere servizio se la prende con i magistrati, “vittima, a suo dire, di una sentenza “mostruosa”. Ottimismo  e frenesia comunicativa del premier non possono nascondere  la drammaticità della situazione  economica. Gli ultimi dati sulla cassa integrazione  segnalano  oltre 100 milioni a marzo coinvolti da inizio anno circa 520 mila lavoratori che hanno subito un taglio del reddito per un miliardo di euro pari a 1900 euro netti a persona. Altro che quattordicesima di cui parla Renzi. Danno il segno di un Paese che è ben lontano dal riprendersi. 

Occorre un  progetto, un vero Piano del lavoro

Quel che occorre è progetto, un programma, un vero Piano del lavoro per l’Italia dell’oggi guardando al futuro. E investire, a partire dal pubblico, sui settori  trainanti, dai servizi, alla cultura.  Ma non basta. C’è bisogno di ristabilire un rapporto con le forze sociali, ognuno faccia la sua parte, con le responsabilità che gli spettano. Ma ignorare chi rappresenta milioni di lavoratori, e ciò vale anche per le associazioni degli imprenditori, non giova, non è un bel vedere. Se Renzi  avesse inviato qualche “persona attenta” ai congressi della Cgil, di categoria e territoriali, migliaia e migliaia di assemblee vere, conoscerebbe meglio una parte del Paese che lui si vanta di ignorare. “Se i sindacati, ma voleva dire la Cgil ( ndr) non saranno d’accordo ce ne faremo una ragione”: questa frase  va ripetendo il premier e segretario di  un partito che aderisce al Pse che,  nel suo programma,  parla  proprio di  rapporto con le forze sociali, di partecipazione.

Pace e bene a tutti. Perché è Pasqua.

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