Lettera a Cuperlo di un giovane di sinistra. La strada di una modernità riflessiva

Caro Gianni,

mi inserisco in punta di piedi nel ricco dibattito sul futuro della sinistra e del PD che si è svolto nei giorni scorsi su queste stesse colonne.

Pensa, sono nato cinque mesi dopo il crollo del Muro di Berlino e la svolta della Bolognina e, pertanto, mi sembrano alquanto surreali certe discussioni sul vecchio e il nuovo, sul passato e il futuro, sulla freschezza e la decrepitezza delle idee legata all’età e al coinvolgimento nelle tristi vicende politiche degli ultimi vent’anni.Ti scrivo perché in molti, durante le Primarie, mi hanno chiesto per quale motivo compissi una scelta così insolita per un ragazzo della mia età: perché non la freschezza spumeggiante di Renzi, perché non la brillantezza di Civati, perché proprio un protagonista, sia pur defilato, del ventennio più buio della recente storia italiana?

Ti confesso che, per qualche giorno, me lo sono domandato anch’io, indeciso se dar fiducia alle idee innovative di Pippo Civati o seguire il cuore che mi induceva a imboccare la strada più difficile, quella di una modernità riflessiva, meno comunicativa delle altre ma estremamente solida nei contenuti e nell’orizzonte delineato e alla fine non ho resistito, seguendo le indicazioni della mia anima da giovane di sinistra.Ho scelto dopo aver letto il tuo documento, quello in cui criticavi il liberismo selvaggio dell’ultimo trentennio, e improvvisamente mi sono sentito piccolo, inerme, solo, gravato dall’idea di essere nato nel momento sbagliato della storia, di essere capitato nel bel mezzo di una catastrofe e di non sapere come uscirne.

Ho riflettuto spesso sul dramma della mia generazione: nata negli anni in cui il liberismo era al culmine, quando anche la sinistra strizzava l’occhio alle privatizzazioni selvagge e al thatcherismo rampante e costretta a studiare nella scuola della Moratti e della Gelmini, in un’università tagliata, con docenti precari e privi di certezze, con genitori costretti a fare i conti con contratti a termine e continui rischi di licenziamento e nonni obbligati a farsi carico di ben due generazioni con una misera pensione di poche centinaia di euro.

E allora è scattato dentro di me un sentimento potentissimo: l’idea di doverti votare anche per quei miei coetanei che, delusi e disillusi, avrebbero scelto la rottura radicale, la cesura netta col passato, il taglio col cordone ombelicale di una generazione di padri che oggettivamente ha commesso molti, troppi errori; di doverti votare per respirare un briciolo dei sogni e delle speranze di chi ha avuto la fortuna di iniziare a far politica negli anni di Berlinguer e, dunque, ha conosciuto anche altro che non fosse il berlusconismo, la demonizzazione dello Stato, la distruzione sistematica della cultura e dell’istruzione, l’assalto agli intellettuali, il massacro del paesaggio e dell’ambiente e, purtroppo, la scomparsa dei partiti e, con essi, di una seria e autorevole cultura politica.

Ti scrivo, caro Gianni, per dirti che per noi, a differenza tua che già a quattordici anni frequentavi la sezione di Trieste e leggevi “Rinascita” insieme ai compagni, la militanza nel PD è venuta dopo; o meglio, è venuta insieme ad altre esperienze collettive che hanno forgiato i pochi sogni rimasti a una generazione che, a suo tempo, qualche anno fa, invase le strade e le piazze di tutta Italia per opporsi alla riforma Gelmini-Tremonti della scuola e dell’università, fondando associazioni, organizzando cortei, riunendosi e leggendo la Costituzione e i discorsi di Calamandrei. Avvertivamo, e avvertiamo oggi più che mai, un disperato bisogno di comunità, di pensiero collettivo, di riscatto, la necessità di una visione più ampia che ci renda finalmente partecipi del nostro destino.

Ora tutto sembra essere svanito, disperso nelle maglie sempre più strette di queste larghe intese che, nella mente di qualcuno, dovrebbero annullare ogni differenza e rendere sinistra e destra pressoché la stessa cosa. Ma noi non possiamo, caro Gianni, non dobbiamo ragionare così, perché la mia generazione non può permettersi di annullare la fondamentale differenza fra chi si batte dalla parte dei primi e chi si batte dalla parte degli ultimi, fra chi era in quelle piazze e chi ha votato quelle riforme, fra chi è salito sui tetti con i ricercatori e chi li ha scherniti. Non possiamo annullare noi stessi, le nostre lotte, la nostra identità, la nostra stessa dignità di persone che hanno combattuto da sinistra una battaglia sincera e oggi si sentono smarrite, prive di rappresentanza, escluse.

Ti scrivo, infine, alla vigilia della Festa della Liberazione. Qualche anno fa mi recai a Pianaccio a trovare la famiglia Biagi ed ebbi l’occasione di percorrere gli stessi sentieri lungo i quali si incamminò il partigiano Enzo quando aveva esattamente la mia età, armato delle uniche armi che hanno segnato la sua vita: una penna e un taccuino. Ebbene, sulla sua tomba, mi tornò in mente una sua straziante riflessione sui ragazzi di allora: bisogna avere rispetto per tutti, soprattutto per i giovani che non hanno avuto un domani, ma c’è differenza fra chi si batté contro il nazi-fascismo, per la libertà della Nazione, e chi si batté al fianco dei nazisti e dei repubblichini.

Ecco, per me la sinistra è tutta in quella frase: nel non voler annullare le differenze, nello stare dalla parte di chi oggi combatte la propria resistenza sui posti di lavoro, per un salario più giusto e maggiori tutele sindacali o degli studenti che abbiamo il dovere di incontrare, ascoltare, riavvicinare alla politica e far sentire finalmente protagonisti, insegnando loro a ripudiare ogni forma di massificazione e di pensiero unico.

Per questo, credo che valga ancora la pena di militare nel PD e impegnarsi da sinistra per renderlo diverso e migliore. Per questo, concludo con le riflessioni di un altro partigiano, Giacomo Ulivi, fucilato a soli diciannove anni, il cui ultimo pensiero fu dedicato proprio alla politica: raccomandò a tutti di non odiarla perché – scrisse – se oggi siamo ridotti così è proprio perché troppi, per troppo tempo se ne sono disinteressati.

Caro Gianni, ricostruiamo insieme una sinistra che abbia come prima bussola la solidarietà e come seconda la lotta contro il demone dell’indifferenza, oggi alquanto diffuso anche al nostro interno.

 

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