Fenomenologia ed evoluzione di Grillo e il giudizio di Schultz

ROMA – Nell’intervista che ha concesso domenica ad Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera, Martin Schultz, presidente uscente del Parlamento europeo e candidato dei socialisti europei alla presidenza della Commissione UE, ha commesso, secondo me, un errore di giudizio e un peccato di omissione. L’errore di giudizio è di aver giudicato Beppe Grillo una sorta di “Stalin contemporaneo” e il movimento 5 Stelle un vento, evidentemente destinato a placarsi.

Il peccato di omissione, più grave, è quello di aver dimenticato, nel corso dell’intervista, di fare il punto sulla crisi del Socialismo europeo, sia dal punto di vista delle scelte politiche che dal punto di vista elettorale. Tuttavia, l’intervista di Schultz ci consente di fare il punto sulla fenomenologia di un leader, Grillo, e di un movimento in fase di evoluzione, e di guardare con laicità alla questione socialista.

Fenomenologia di Grillo e dei 5 Stelle. In questi giorni di grande tensione per l’Italia, ho avuto modo di seguire comizi e performance di Beppe Grillo in Emilia Romagna, dove il movimento pentastellato è nato, con il Vaffa day del 2007, a Bologna. Che Beppe Grillo riesca ad attrarre diverse migliaia di persone ad ogni suo comizio non è più una notizia. E non è una sorpresa neppure il fatto che, dalle elezioni politiche del 2013, queste “adunate” pubbliche si trasformano in un ampio gruzzolo di voti. La capacità di Grillo è quella di tenere assieme la “piazza” reale e la “piazza” virtuale, col suo blog. Da questo punto di vista, aver lasciato a Beppe Grillo, anche in Emilia, la piazza reale è un grave errore della Sinistra. Perchè quella piazza è stracolma di gente vera, convinta, e non solo affamata delle battute di un ex comico, come ormai si definisce Beppe Grillo. Il fenomeno non va più sottovalutato, né giudicato, come invece ancora pensa di fare Martin Schultz, come qualcosa di temporaneo, destinato ad esaurirsi. Se prima di questa campagna elettorale Grillo solleticava per lo più gli umori “della pancia” del suo pubblico, con una serie di slogan ad effetto, e con l’uso della “parolaccia” (che però assume “il valore di un concetto che arriva prima”, come Grillo stesso sostiene nei suoi comizi), ora pare aver cambiato strategia retorica, o copione, se vogliamo. Egli è abile a costruire un mix retorico che ha la capacità, tipica del comico, di suscitare il riso “sardonico”, con lo sberleffo al potere, anche locale (lo dimostra la battuta ad effetto contro Delrio a Reggio Emilia: “ha giurato che dopo aver fatto il sindaco, sarebbe tornato a fare il ricercatore. Dato il posto in cui si trova stia attento a non fare la parte del ricercato”), ma anche di parlare “alla testa” del suo uditorio, con una serie di ragionamenti politici. Forte dell’attenzione e dell’esaltazione che induce con le battute, Beppe Grillo dedica ora maggiore attenzione alla costruzione della retorica politica, individuando subito il “nemico”, secondo la logica introdotta nel secolo scorso da Carl Schmitt. La logica dualistica “amico-nemico” evidentemente premia nelle urne, secondo la strategia di Grillo, e fa compiere al movimento una forte torsione identitaria, proprio accentuando le differenze. Amico-nemico e identità-differenza: sono queste le chiavi di lettura sulle quali dovremmo meditare per comprendere un fenomeno che è insieme populistico e popolare. Non possiamo infatti dimenticare, né può dimenticarlo Schultz, che quel movimento è oggi forte di 8milioni e mezzo di voti, e che in questo risiede la sua popolarità. Si tratta di un popolo vasto e variegato, trasversale nei ceti sociali, e fortemente empatico soprattutto verso le nuove generazioni. Ed è proprio qui che invece ritroviamo l’aspetto populistico. Beppe Grillo, in fondo, miscela sapientemente le diverse coppie dialettiche sulle quali fonda la retorica dei suoi comizi, e gran parte dei suoi atti pubblici. Il nemico è oggi Renzi e il Pd, all’esterno. E ad esempio il povero consigliere regionale emiliano Defranceschi, colpevole di aver parlato male dei giudici della Corte dei Conti, al proprio interno (ma si ricordino anche i decreti di espulsione per una quindicina di parlamentari). Grillo costruisce un’intera affabulazione contro “i nemici” del movimento, considerati, tout court, nemici corrotti dell’Italia per bene e pulita, quella che vota, appunto, i 5 Stelle. E questi nemici sono i protagonisti del grande complotto massonico-finanziario-politico-istituzionale che è stato realizzato proprio per arginare le spinte al cambiamento del movimento. È a questo punto che cade, come una nota perfetta in uno spartito studiato alla perfezione, l’attacco, ovviamente gratuito, a Giorgio Napolitano. L’attacco al presidente della Repubblica non solo è gratuito, ma è falso nelle premesse e nelle ragioni. Tuttavia, contribuisce alla creazione del “nemico perfetto”, che ha il fine di portare nel movimento una buona parte dell’uditorio non ancora convinto. La dialettica “amico-nemico” crea anche la particolare identità del movimento, ovvero la sua innocenza, perchè, come dice Grillo, “noi non c’eravamo”. La rivendicazione urlata di non avere alcuna colpa per “la morte della Repubblica” determina una forte empatia popolare, e muove soprattutto tra le nuove generazioni coloro che non hanno memoria storica, si informano quasi esclusivamente sui siti vicini a Grillo e cercano disperatamente un’identità politica. E infine, ciliegina sulla torta, l’identità del movimento costruita da Grillo crea i nuovi eroi, parlamentari, consiglieri regionali e comunali. In ogni comizio di Grillo si assiste all’esaltazione dei nuovi eroi pentastellati in Parlamento, citati per nome e cognome, come coloro che conoscono il “bene del Paese” e lavorano, dalla mattina alla sera, per quell’obiettivo. È proprio in quest’altro aspetto che si fa davvero stridente la differenza con le altre forze politiche, nessuna delle quali ha una tale esaltazione dei propri rappresentanti istituzionali, usata come vero e proprio criterio identitario. La fenomenologia di Grillo e del movimento 5 Stelle è tutta qui, grosso modo. Faremmo bene a tenerne conto.

La questione socialista. Sullo sfondo dell’intervista di Schultz al Corriere della Sera resta intatta una grande questione che si è aperta a febbraio 2013 in Italia, a settembre 2013 in Germania e a marzo 2014 in Francia, e prima ancora in Spagna, ovvero, l’incapacità della Sinistra (socialista in Spagna, Germania e Francia, e democratica in Italia) di vincere le elezioni. In Francia ha fatto molto rumore la sconfitta del cosiddetto “socialismo municipale”. In Germania, la Spd ha lasciato un immenso campo alla straripante vittoria della Merkel. In Italia, il Pd ha vinto alla Camera solo grazie al porcellum, ma il suo risultato elettorale è stato a dir poco deludente. All’indomani delle sconfitte elettorali, tuttavia, il dibattito pubblico in Germania e Francia ha attraversato la questione della crisi socialista, e sono scesi in campo i big e i protagonisti del pensiero politico, da Habermas a Beck, da Lazar a Cohn Bendit. In Italia, lo scontro tra l’esecutivo Pd e i “professoroni” costituzionalisti sul tema sensibile delle riforme ha invece sancito il divorzio tra ceti intellettuali e Sinistra democratica.  Strano invece che Schultz non lo abbia rilevato nella sua intervista.
Così come stanno le cose oggi, le elezioni europee e amministrative del prossimo 25 maggio rappresentano davvero un gigantesco scoglio politico per la Sinistra, socialista e democratica. Speriamo di farcela. Ma vedo addensarsi nubi pericolose sul destino dell’Europa e dell’Italia.

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