A rischio l’Unità. Non c’è tempo da perder, ci vuole un progetto industriale e culturale

ROMA – Qualcuno ha ricordato che ero al timone del Partito -allora i DS- quando l’Unità sospese le pubblicazioni nel luglio del 2000. La tragedia di quelle ore, documentata anche in tv e al cinema, con i giornalisti che protestavano sotto la sede delle Botteghe Oscure, dal punto di vista della proprietà pesò fortemente sulle mie spalle.

Poco importava in quelle ore che negli anni precedenti ci fossero state gestioni “allegre” del giornale, e che l’immenso debito dell’Unità pesasse come voce fondamentale sul debito storico del PCI-PDS; e poco importava che sempre in quegli anni, nei tentativi fallimentari di portare privati nel giornale, fossero stati coinvolti imprenditori di dubbia fama. In quei mesi venne lasciata anche Botteghe Oscure, e cominciò la grande alienazione del patrimonio immobiliare del PCI-PDS, per pagare o consolidare un debito accumulato nella storia. Quello che contava, nelle ore della chiusura, era il “delitto perfetto”, di cui scrisse Michele Serra. Con tenacia, insieme ad Alessandro Dalai e a un gruppo di imprenditori, gettammo le basi della nuova Unità, dalla cui proprietà il Partito uscì completamente, gestendo, grazie all’apporto di un giurista della qualità di Victor Uckmar, e a un lavoro quotidiano di mesi e mesi difficilissimi, una transizione drammatica. Ma, infine, l’Unità di Furio Colombo e Antonio Padellaro vide la luce, e per anni -in autonomia dal Partito- fu un successo editoriale straordinario. Non esito a dire che l’errore di allontanare prima Colombo e poi Padellaro -protagonista del successo del Fatto quotidiano- è stata la prima ragione del declino, accompagnata dal fatto che non si è rinunciato ai finanziamenti pubblici per i giornali di partito. Il Partito, fino al PD, si è più preoccupato di dar voce sull’Unità agli esponenti delle sue correnti, e a usare il giornale nella lotta politica, che non a sostenere un progetto editoriale credibile. Si è scelto, nel cupio dissolvi di ogni ombra del passato che andava cancellata, di non chiamare più le feste col nome del giornale, di avere addirittura due quotidiani, di aprire una televisione di partito che non vede nessuno. Non si sarebbe dovuto mettere a sistema tutto il potenziale informativo e culturale del PD e della sinistra? Ho provato negli ultimi due anni, da militante che ha questo passato e che contribuì alla salvezza del giornale allora, a dare dei suggerimenti e ad avanzare delle ipotesi ai dirigenti che si sono succeduti al Partito, e alle componenti della proprietà E’ stato inutile. Sinceramente ora non capisco perché i liquidatori non abbiano accolto la proposta di Matteo Fago, sicuramente incompleta e fragile, e spero davvero che non ci siano state ragioni di orientamento politico. Ora però non c’è tempo da perdere. Ci sono forze imprenditoriali e finanziarie disponibili. Ci sono energie umane che in modo volontario e gratuito possono dare il loro contributo. C’è un quotidiano on-line bello e che funziona. C’è un “marchio”, l’Unità, di cui si sente proprietario un popolo, quello dei tortellini e delle costicine, e quello di una sinistra diffusa. Questo marchio non merita di essere musealizzato, ma deve essere valorizzato nelle sue potenzialità vere. All’Unità, fondamentalmente, in questi anni non è mancata una direzione adeguata, ma una società editrice degna di questo nome, un progetto industriale e culturale. A Matteo Renzi si può chiedere sull’Unità la stessa determinazione che ogni giorno manifesta su altri argomenti. Alla confederazione di correnti che anima il PD un po’ di generosità. Quello che conta è sapere che c’è un grande spazio, per una nuova Unità, libera, indipendente, non di partito, ma di un’area vasta democratica e di sinistra, che vive delle sue risorse e non dei fondi per l’editoria politica.

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